Sarà italiano il prossimo papa? Il conclave in preparazione avrà un alto tasso di internazionalità, ma un ritorno alla tradizione, dopo tre papi stranieri, potrebbe essere uno scenario plausibile per contemperare continuità delle riforme bergogliane e gestione delle tensioni interne
Il prossimo conclave avrà una configurazione del tutto inedita, riflesso del costante impegno di Papa Francesco nel processo di internazionalizzazione della Chiesa. In questi anni, infatti, Bergoglio ha progressivamente spostato il baricentro ecclesiale dalla Curia romana verso le periferie del mondo. Un cambiamento tangibile anche nella composizione del Collegio cardinalizio, che oggi conta rappresentanti di 71 Paesi, contro i 48 di dodici anni fa.
Nel complesso, i cardinali italiani che parteciperanno all’elezione del nuovo Papa sono “soltanto” 19 su 135. Numeri che riducono notevolmente, rispetto al passato, le probabilità che il prossimo pontefice sia italiano.
Tuttavia, il nostro rimane il Paese più rappresentato e tra i papabili figurano stabilmente tre profili “nostrani” ritenuti di continuità rispetto alla direzione tracciata dal pontefice argentino.
VERSO UN PAPA ITALIANO?
L’elezione di un Papa italiano, pur non scontata, potrebbe essere uno scenario plausibile per svariate ragioni.
Per oltre 450 anni, ossia da Adriano VI fino al 1978, i papi furono italiani. Dopo tre pontefici stranieri consecutivi (un polacco, un tedesco e un argentino), parte del Collegio potrebbe ritenere opportuno un ritorno alla tradizione, soprattutto in un periodo di transizione e incertezza.
Paradossalmente, proprio per garantire continuità alle riforme avviate da Francesco e gestire le tensioni emerse durante il suo pontificato, potrebbe risultare preferibile un profilo con una solida esperienza interna alla macchina vaticana.
Inoltre, non va dimenticato che Bergoglio ha raramente riunito il Collegio cardinalizio a Roma, limitando le occasioni di confronto diretto tra i suoi membri. Un elemento che potrebbe spingere a privilegiare candidati già ben conosciuti all’interno delle mura leonine.
C’è poi un aspetto logistico e simbolico: l’Italia ospita il cuore della Chiesa cattolica. Un Papa italiano, più consapevole del contesto sociale, culturale e politico del Paese, potrebbe offrire una guida radicata nella realtà del centro nevralgico dell’azione ecclesiale mondiale.
PIETRO PAROLIN: CONTINUITÀ E DIPLOMAZIA
Attuale Segretario di Stato vaticano, originario di Schiavon, nel vicentino, il cardinale Pietro Parolin è ben noto nel Collegio cardinalizio e spesso indicato come la scelta più gradita dallo stesso Francesco.
Fedele collaboratore del papa argentino, sebbene si attesti su posizioni più moderate, negli anni si è distinto per la sua abilità diplomatica e per la gestione di dossier delicati come l’accordo con la Cina. In svariate occasioni è intervenuto per stemperare i toni e attenuare le tensioni quando alcune dichiarazioni — riguardanti l’Ucraina o Gaza — rischiavano di generare imbarazzi e alimentare polemiche.
Il suo profilo è quello di un diplomatico di razza, con una carriera trentennale nella Segreteria di Stato vaticana. Inoltre, pur avendo condiviso lo spirito riformatore del pontificato di Papa Francesco, viene indicato come un candidato di sintesi, capace di proseguire le riforme senza esasperare le tensioni interne. Insomma, un profilo perfetto per una transizione “soft”, capace di unire le diverse anime del Collegio cardinalizio: né troppo progressista, né apertamente conservatore.
MATTEO MARIA ZUPPI, IMPEGNO SOCIALE E PASTORALE
Un’altra pista porta all’Arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Matteo Maria Zuppi. Romano del 1955, è strettamente legato alla Comunità di Sant’Egidio, con la quale ha mediato il processo di pace in Mozambico negli anni ’90.
Nel 2023, Papa Francesco gli ha affidato una missione speciale di pace in Ucraina, con tappe fondamentali anche a Mosca e Washington. Zuppi ha assunto un ruolo da mediatore “soft”, capace di dialogare con leader politici e religiosi senza alimentare contrapposizioni, ma cercando sempre un linguaggio comune. Non si è trattato solo di una presenza simbolica: la sua azione è stata concreta nel depoliticizzare i messaggi pontifici, riportandoli all’essenza umanitaria e spirituale. Vicino a poveri e migranti, potrebbe rappresentare la scelta di maggiore continuità rispetto all’impegno pastorale e sociale di Bergoglio e giocare un ruolo decisivo nel processo di pace in Ucraina.
PIERBATTISTA PIZZABALLA, FRANCESCANO IN TERRA SANTA
Nato a Cologno al Serio (Bergamo) nel 1965, Pierbattista Pizzaballa ha un profilo unico tra i cardinali papabili. Francescano dell’Ordine dei Frati Minori, è stato Custode di Terra Santa per oltre dodici anni (2004–2016), un ruolo chiave che lo ha posto al centro della vita cristiana nei luoghi più sacri per la fede ebraica, cristiana e musulmana. Dal 2020 è Patriarca Latino di Gerusalemme, primo italiano a ricoprire questo incarico dopo decenni. Il suo ministero si svolge in un territorio segnato da tensioni politiche, religiose ed etniche costanti: Israele, Palestina, Giordania e Cipro.
Parla fluentemente ebraico, elemento rarissimo tra alti prelati cattolici, e ha guidato la traduzione del Messale Romano in ebraico, un gesto di profonda apertura verso il mondo giudaico.
Come Custode, ha lavorato a stretto contatto con ebrei, musulmani e cristiani di varie confessioni, assumendo spesso un ruolo di garanzia e mediazione tra le diverse comunità religiose e tra queste e le autorità civili israeliane e palestinesi. Nel pieno del conflitto tra Israele e Hamas, nell’ottobre 2023, il cardinale Pizzaballa ha dichiarato pubblicamente la sua disponibilità a offrirsi in cambio dei bambini israeliani ostaggio di Hamas. Un Papa che viene dalla Terra Santa, dal cuore dei conflitti, potrebbe parlare con credibilità a un mondo che cerca non solo risposte, ma segni di speranza concreta.