Fallisce “il blitz” della maggioranza sull’elezione del giudice per la Consulta. Una sconfitta per Giorgia Meloni che aveva indicato il suo consigliere giuridico per quel posto per cercare di controllare i dossier delicati da autonomia a premierato. Le opposizioni però sanno solo “astenersi” e il vulnus costituzionale rimane in piedi
Non ce l’ha fatta. Giorgia Meloni ha dovuto sventolare scheda bianca perché i 363 voti per eleggere il suo candidato, Francesco Saverio Marini, alla Corte Costituzionale non ci sono stati. Si è abbattuta sul “muro delle opposizioni” come scrive Repubblica mentre il Corriere della Sera parla di un “autogol sul metodo che alimenta la spaccatura” nella maggioranza.
CONSULTA, QUANDO “IL METODO” E’ SOSTANZA
Lo scrive senza tanti giri di parole nel suo commento Massimo Franco: “C’è solo da sperare che la maggioranza capisca. Quando si tratta di istituzioni di garanzia come la Corte costituzionale, il metodo è sostanza. E il tentativo di imporre un proprio candidato senza coinvolgere le opposizioni può diventare un boomerang; e non solo quando non riesce, come ieri. Lo è anche quando tende a piegare a logiche di governo organi come la Consulta, legittimati dal fatto di essere percepiti come neutrali”.
TRADITO IL RUOLO DEL PARLAMENTO
E’ stato senza dubbio questo il “peccato originale” della scelta del presidente del Consiglio anche se, come scrive Danilo Paolini su Avvenire “Meloni – in quanto leader del principale partito di governo – ha cercato indubbiamente di nominare il suo consigliere con il favore della sorpresa, ma è stata tradita da uno dei tanti spifferi che ci sono nelle chat dei parlamentari. Un attivismo altrettanto partitocratico, che non ha tenuto conto della sana dialettica parlamentare, anche se qualcuno ha provato a dire che si voleva solo seguire l’invito del capo dello Stato Sergio Mattarella a completare il plenum della Corte costituzionale. Ancora una volta, come ci è capitato di scrivere a proposito della riforma della cittadinanza e dei referendum, torna in discussione il ruolo del Parlamento, che dovrebbe andare al di là di due schieramenti contrapposti”.
FDI INSISTERA’ SUL SUO CANDIDATO
Sarà, ma da Fratelli d’Italia è subito partita alla caccia dei “traditori” individuandoli nei “leghisti assenti” come scrive Federico Capurso su la Stampa. E non basta, la linea non cambia, non c’è nessun motivo per archiviare la candidatura di Marini. “La premier non vuole lasciare che passi un’immagine di debolezza” scrive nel retroscena il giornalista del quotidiano torinese “Reagisce indurendo d’orgoglio la sua posizione, ma i parlamentari hanno accusato il colpo. Fratelli d’Italia è seccata con la Lega per le troppe assenze (12) e anche per il fatto che, a differenza loro e degli alleati di Forza Italia, non ha imposto alle sue truppe l’obbligo di presenza in Aula per il voto. Per primi, poi, i leghisti hanno fatto trapelare la decisione di votare scheda bianca, segnando la resa di Meloni. «Non aspettavano altro», ringhiano i Fratelli”.
SCHLEIN: “ASSETATI DI POTERE, LORO MODELLO E’ TRUMP”
Come finirà? Se su Repubblica in un colloquio con Giovanna Vitale il segretario del Pd Elly Schlein rivela che aveva telefonato alla Meloni per chiederle di “discutere” sul metodo e denuncia che sono “assetati di potere e il loro modello è l’occupazione in stile Trump” è Lina Palmerini sul Sole24Ore a sottolineare che “Il nodo è politico e riguarda la capacità della premier di cercare una trattativa con l’opposizione”. “Sarebbe la prima volta – scrive la giornalista del quotidiano di Confindustria – ciò che conta innanzitutto è l’obiettivo: ossia che ai prossimi appuntamenti, la Consulta conservi la sua funzionalità. Se infatti a novembre, il ricorso sull’autonomia differenziata verrà trattato con 14 componenti, a gennaio – quando ci sarà la sentenza sui referendum – la Corte si troverebbe con 11 giudici e dunque con il rischio che un’assenza blocchi le decisioni”.
EVITARE RISCHIO PARALISI DELLA CONSULTA
Insomma quel pericolo paralisi che nessuno vuole correre, a maggior ragione dopo il richiamo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che appena lo scorso mese di luglio – come scrive il Messaggero – chiese di eleggere “tempestivamente” il quindicesimo giudice e parlò di un “vulnus alla Costituzione compiuto dal Parlamento”. L’invito, come disse lui, era rivolto “con garbo ma con determinazione”. E adesso in qualche modo maggioranza e opposizione devono tornare a parlarsi altrimenti si rischia la paralisi a discapito della democrazia.