La pandemia ha avuto un impatto restrittivo sulla spesa delle imprese in Ricerca e Sviluppo, per la quale è atteso un calo del 4,7% nel 2020, mentre si registra una crescita del 3% di quella delle istituzioni pubbliche
Non ci sarà transizione digitale o transizione ecologica senza investimenti in ricerca e sviluppo, dal momento che i nuovi modi per produrre all’insegna della sostenibilità non saranno certo trovati scuotendo gli alberi, ma andranno elaborati. Eppure, se in Italia già prima della pandemia si faceva poca ricerca e sviluppo, soprattutto da parte pubblica, con lo scoppio del Covid gli investimenti nel settore hanno frenato ulteriormente il motore della nostra impresa.
“Nonostante l’emergenza epidemiologica abbia portato alla consapevolezza dell’assoluta necessità di una seria politica di investimenti in ricerca scientifica e tecnologia, i dati indicano che ha avuto un impatto restrittivo sulla spesa delle imprese in Ricerca & Sviluppo, per la quale è atteso un calo del 4,7% nel 2020, mentre si registra una crescita del 3% di quella delle istituzioni pubbliche”. È il dipinto a tinte fosche pennellato dalla Corte dei Conti che giudica positivamente le misure della Legge di Bilancio 2020 sul rinnovo del credito d’imposta per investimenti in R&S, transizione ecologica, innovazione tecnologica 4.0.
La Corte ha approvato la Relazione sulla “spesa fiscale” di riferimento dal 2015 al 2019: lo stop al limite della spesa erogabile – previsto originariamente ma mai attuato e poi modificato dal 2015 – ha comportato l’aumento delle difficoltà di governo della spesa, mancando idonei strumenti di controllo; è poi stata espunta la spesa per brevetti, parametro di verifica dell’efficacia della misura. “Alcune criticità, probabilmente, erano presenti al legislatore, che ha anticipato al 2019 la cessazione del periodo di operatività del credito introducendo, con la Legge di Bilancio 2020, modifiche per limitarne la fruizione agli investimenti più efficienti e consentire controlli più stringenti”, conclude la Corte.
Nel suo discorso per la fiducia in Parlamento, Mario Draghi ha sottolineato che «occorre investire adeguatamente nella ricerca, visto l’impatto che produce sulla nuova conoscenza e sui nuovi modelli in tutti i campi scientifici». In Italia a investire in Ricerca e Sviluppo è soprattutto il settore privato. L’ultimo rapporto Istat (riferito al 2018) indica che solo un terzo degli investimenti complessivi in ricerca arriva dal mondo pubblico, oltre il 63% è privato.
Secondo il quotidiano MF – Milano Finanza alla metà dell’anno scorso, e dunque al temine della prima ondata pandemica, il totale della spesa in R&S delle prime 25 società italiane sfiorava i 13 miliardi di euro. Sul podio della classifica ci sono Fiat Chrysler Automobiles, con 3,6 miliardi euro investiti in ricerca e sviluppo (il dato è riferito a prima della fusione che ha portato alla creazione di Stellantis), seguita da Leonardo con 1,5 miliardi e da Telecom Italia con 1,2. La società guidata da Alessandro Profumo risulta però quella che ha investito in innovazione e ricerca la percentuale più alta rispetto ai ricavi: 10,7%, contro i 6,5% di FCA e Telecom.
E proprio da Leonardo arriva l’attuale ministro della transizione Ecologica, Roberto Cingolani. Ritrovare oggi Cingolani al dicastero che più di tutti potrà contare sui soldi che arriveranno da Bruxelles per dare vita al piano di ricostruzione post pandemica “Next Generation Eu” è dunque di ottimo auspicio perché si torni a parlare (e si torni a investire) nel settore R&D, alla base di qualsiasi transizione digitale ed ecologica che si voglia attuare. Anche perché, se le imprese, stremate dalla crisi, non hanno la liquidità necessaria per portare avanti i loro investimenti in ricerca e sviluppo, tocca al pubblico metterci un cerotto e fare da volano all’intero sistema.