La CGIL di Maurizio Landini vuole cancellare il Jobs Act di Matteo Renzi: entro metà aprile dovrebbe partire la raccolta firme per i quattro quesiti referendari
È da almeno dieci anni che la CGIL conduce una battaglia, a tratti più silenziosa a tratti più rumorosa, contro il Jobs Act. Da qualche tempo siamo in una fase più agitata, il segretario Maurizio Landini ha in programma di lanciare, da metà aprile, una raccolta firme per quattro referendum che vogliono fare a pezzi il Jobs Act.
“QUATTRO QUESITI CONTRO IL LAVORO PRECARIO E PER IL LAVORO SICURO”
Il sindacato di Corso Italia ha preparato quattro quesiti referendari che vogliono eliminare le disparità tra gli assunti prima e dopo il 7 marzo 2015. I primi due quesiti propongono l’abrogazione del decreto 23 del 2015 (il Jobs Act) e il secondo lo stop al tetto agli indennizzi che il datore di lavoro deve erogare al dipendente licenziato illegittimamente. Gli altri due suggeriscono di ripristinare le causali ai contratti a tempo determinato e la responsabilità del committente sugli infortuni sul lavoro negli appalti. “Noi proponiamo un altro modello sociale di sviluppo, fondato sui diritti ora negati ai lavoratori. L’anno scorso su 7 milioni di contratti attivati solo il 16% era stabile, l’84% precario – ha detto Landini in un’intervista a Repubblica -. E cioè a termine, intermittente, stagionale, somministrato. In Italia quasi 6 milioni di persone non arrivano a 11 mila euro lordi annui di reddito da lavoro”.
LA MOBILITAZIONE “PERMANENTE” E L’ITER DEI REFERENDUM CONTRO IL JOBS ACT
La CGIL, insieme alla UIL, pensa a un percorso di mobilitazione lungo almeno due mesi, che inizierà con lo sciopero generale del prossimo 11 aprile dedicato a morti sul lavoro, riforma fiscale e nuovo modello sociale e di impresa. A seguire il 20 aprile CGIL e UIL scenderanno in piazza a Roma e poi, insieme alla CISL, il 1° maggio a Monfalcone (GO) per i vent’anni della Grande Europa, l’allargamento a 25 Paesi.
A metà aprile dovrebbe partire una raccolta firme per i referendum che dovrebbe concludersi non prima di luglio. La palla passa poi alla Consulta e, se non dovessero esserci intoppi, i referendum approderebbero nelle urne non prima della primavera del 2025.
LA DIFESA DELL’ARTICOLO 18 DA PARTE DELLA CGIL
Il Jobs Act, varato dal Governo Renzi per provare a dare una scossa allo stagnante mercato del lavoro italiano, è sempre stato indigesto alla CGIL. Il punto più contestato è stato la riforma dell’articolo 18, rivoluzione riuscita all’allora segretario del PD e fallita, anni prima, al liberale Silvio Berlusconi. Il 23 marzo del 2002, pochi giorni dopo l’omicidio di Marco Biagi a Bologna, la CGIL guidata da Guglielmo Epifani portò in piazza tre milioni di persone ia Roma n difesa dell’articolo 18 che il Governo Berlusconi voleva superare.
IL PRECEDENTE DEL 2017: I REFERENDUM SUL JOBS ACT DELLA CGIL DI SUSANNA CAMUSSO
Nel 2017 anche la CGIL guidata da Susanna Camusso provò la strada referendaria raccogliendo oltre 3 milioni di firme. I quesiti all’epoca erano: abolizione dei voucher, il ripristino dell’articolo 18 con il reintegro in caso di licenziamento illegittimo nelle imprese sopra i 5 dipendenti e piena responsabilità negli appalti. Il Governo Gentiloni cancellò i ticket e intervenne sul terzo quesito, mentre la Corte Costituzionale dichiarò inammissibile il secondo.
MATTEO RENZI DIFENDE IL “SUO” JOBS ACT E CHIAMA IN ATTACCA IL PD
A difendere la bontà del Jobs Act ci pensa proprio Matteo Renzi con una lettera aperta su “Il Foglio” e lo fa snocciolando dei numeri. “Guardando a una prospettiva più di lungo termine, dal febbraio 2014 al febbraio 2024, nonostante le difficoltà determinate prima dalla pandemia e poi dalle conseguenze della guerra russo-ucraina e dal rallentamento dell’economia europea e mondiale, sempre in base ai dati mensili destagionalizzati Istat, in Italia si è passati da 21,8 milioni a 23,8 milioni di occupati, con un incremento di 1 milione e 955 mila, di cui 2 milioni e 325 mila lavoratori dipendenti in più (a fronte di un calo di 370 mila unità dei lavoratori indipendenti) – scrive Renzi -. Gli occupati dipendenti a tempo indeterminato sono passati da 14,2 milioni a 16 milioni con un incremento di 1 milione e 753 mila unità”. Il merito? Delle politiche riformiste, come il Jobs Act. “In questi numeri, sta tutta la differenza fra il populismo di Landini e l’efficacia delle politiche riformiste”. Il Partito di Democratico, al momento, sembra allineato alle posizioni del sindacato, tanto che l’ex segretario Renzi si chiede perché il PD voglia fare la guerra a “legge voluta da un ministro del Pd, presentata nei circoli del Pd, difesa dagli amministratori del Pd”.