Il mainstream dibatte su che tipo di connotazione ‘politica’ dare a questa edizione del Festival di Sanremo, la prima del post Amadeus sotto il governo Meloni
Tenere lontana la politica dai riflettori del Teatro Ariston. Questo sembra essere uno dei mantra della 75ma edizione del Festival di Sanremo. Carlo Conti lo ha fatto capire quasi esplicitamente. E si percepisce da tanti dettagli. Ma inevitabilmente, volente o nolente, è la politica che si occupa di Sanremo. E anche la stampa connotata politicamente non può essere da meno. La sintesi è presto detta: non è un Sanremo sovranista, ma democristiano. E per il semplice fatto che non si possa etichettare di sinistra o progressista per la destra può rappresentare già un successo.
PERCHE’ NON E’ UN SANREMO PROGRESSISTA, SECONDO LIBERO QUOTIDIANO
Dopo i primi giorni un po’ in sordina, ecco allora Libero quotidiano che, forte degli ascolti record dell’edizione contiana, spara in apertura il titolo: “Il Pd perde Sanremo – il Festival della rosicata”. “Più Sanremo va su negli ascolti – scrive Pietro Senaldi -, anche la seconda serata di Carlo Conti ha battuto per distacco il record di Amadeus, più la sinistra va giù di morale. Non ci vogliono credere, nel Pd, che un Sanremo depoliticizzato piaccia più dei loro frullatori ideologici. (…) Lo sconfitto è il Pd, che dopo le elezioni perde pure Sanremo e per questo, non troppo scherzosamente, butta lì l’idea DI una riforma “costituzionale” della manifestazione. “Separiamo conduzione da direzione artistica” suggerisce Orfini”.
Esulta su X Simone Pillon, l’ex deputato neocon della Lega: «Quando a Sanremo si fa musica e non propaganda LGBT escono canzoni coraggiose, come quella di Cristicchi che affronta con dolcezza il tema delle malattie neurodegenerative dei nostri anziani».
PERCHE’ NON E’ NEPPURE SOVRANISTA
Già, la canzone di Cristicchi. Sulla quale si sofferma Repubblica, che si chiede: “Operazione di marketing religioso o ispirazione mistica?” Il dubbio – scrive Annalisa Cuzzocrea – “pervade l’Italia come quello sulla canzone che a Sanremo commuove metà sala stampa e indigna l’altra metà (come sui social, il meccanismo è identico). I primi si identificano con un testo che tocca la vita di milioni di persone, di famiglie che hanno a che fare con la vecchiaia o la malattia di un genitore. Gli altri pensano al meccanismo ricattatorio di un brano che sembra voler far piangere per forza, puntando un riflettore in faccia al cantante commosso con un’ostensione del dolore che a qualcuno appare forzata”.
Per ora, evidenzia Repubblica “è questa, l’unica grande divisione politica generata dal festival. Con la narrazione Dio, patria e famiglia a farla da padrona: il cantante ha scritto un musical sulle foibe, ha espresso la sua contrarietà alla gestazione per altri («il mondo ricco, eterosessuale e omosessuale pensa che un figlio sia un diritto e se non si ottiene per grazia, fortuna e natura, si compra con il denaro»). Piace ai vertici Rai, il direttore generale Roberto Sergio non capisce chi ci vede calcoli cinici: «A volte le cose sono molto più semplici di quel che sembrano». E anche la segretaria dem Elly Schlein, nella sua chat Canzoni sanremesi, la prima sera, aveva scritto «bella canzone». Quindi insomma, è più complesso che destra/sinistra, cattolici/laici, conservatori/progressisti. Eppure, divide”.
E’ UN SANREMO DEMOCRISTIANO? LA VERSIONE DEL FOGLIO
Niente sovranismo e niente progressismo dunque. E allora come connotare politicamente questo festival (in attesa della performance a sorpresa di Roberto Benigni)? Ci pensa il Foglio con Salvatore Merlo: “Evviva la Dc, democrazia Conti. E non per gli ascolti che sono sempre record, (…) ma per via di questo Festival-miracolo in cui senti le canzoni e non i monologhi, dove persino la noia ha ritmo, e un presentatore che non fa nulla per risultare simpatico (la tradizione è di altissimo livello: Pippo Baudo) viola tutte le regole della banalità obbligatoria, della retorica imposta: “Antifascista? Oggi mi preoccuperei di più dell’intelligenza artificiale”. Oppure ieri, mentre gli ricordavano che Fedez è indagato, manco fosse Daniela Santanchè, mentre insomma partiva Mani Pulite a Sanremo, rispondeva: “Faccio il direttore artistico, non il pubblico ministero”. Ci voleva Carlo Conti”.
CERASA: “E’ IL FALLIMENTO DELL’EGEMONIA CULTURALE DELLA DESTRA POPOLISTA”
Sempre sul Foglio il direttore Cerasa prova ad approfondire, a vivisezionare la matrice culturale della destra. “E se Sanremo – si chiede retoricamente – fosse il simbolo gioioso e consapevole del fallimento dell’egemonia culturale della destra populista? Ai tempi delle polemiche sui monologhi sui migranti, sui baci fluidi, sull’ostentazione gender, la destra non ancora di governo aveva promesso che, una volta al potere, gliene avrebbe cantate quattro alla dittatura del wokismo. E invece, in coerenza perfetta con lo spirito del tempo, l’identità della destra, attraverso Sanremo, si è affermata per sottrazione. Pochi messaggi politici, pochi moralismi sfacciati, niente sovranismo, molto establishment, molta moderazione, molte onde medie, come direbbe Salvatore Merlo, molti testimonial coraggiosi, molta ricerca della moderazione e molta ricerca della normalità”.
Cerasa parla di “fallimento dell’egemonia culturale della destra, il fallimento cioè di quell’idea rétro di dover sostituire a colpi di identità feroce la vecchia identità progressista, è nella consapevolezza progressiva, da parte della destra, della necessità assoluta di appoggiarsi al mainstream, e non ai propri istinti populisti, per essere presentabili, per non essere attaccabili, per non inciampare”.
(…) “…al wokismo esasperato puoi anche non rispondere portando sul palco gli eccessi opposti. Si potrebbe dire che il momento più di destra del festival c’è stato ieri pomeriggio in conferenza stampa, quando il direttore artistico, Carlo Conti, rispondendo a una domanda sull’opportunità di Fedez di essere al Festival di Sanremo nonostante le intercettazioni che lo hanno visto protagonista (…) ha risposto “io sono un direttore artistico, non un giudice, sono un garantista, per quanto riguarda qualsiasi tipo di processo e per me è fondamentale la presunzione di innocenza”.
Si potrebbe dire, conclude il direttore del Foglio, “che le parole di Conti siano di destra, d’accordo. Ma se mettere in mostra il proprio garantismo è diventato un tema di destra forse a essersi allontanata dalla normalità, a Sanremo e non solo, non è la destra populista, ma è chi si è visto scippare via, anche fuori dall’Ariston, una grande egemonia culturale chiamata mainstream”.