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Ricercatori

Ricercatori: una generazione in fuga. Il punto in un libro

Ricercatori, professionisti e studenti si trovano di fronte a un bivio: restare e affrontare un mercato del lavoro stagnante o partire alla ricerca di condizioni più favorevoli? Intanto un’intera generazione altamente qualificata sta lasciando il Paese. Un libro spiega perché

Quali sono le reali cause della fuga dei cervelli, quali le conseguenze economiche e sociali: Stai Fuori! Come il Belpaese spinge i giovani ad andare via di Alessandro Foti (Dedalo Edizioni, 2024) accende i riflettori su un fenomeno spesso trascurato, ma da cui dipende molto della competitività italiana nel lungo periodo.

La presentazione del saggio alla Camera dei Deputati è stata l’occasione per un dibattito su una questione cruciale per il futuro del Paese.

STAI FUORI!

Foti, milazzese, di formazione biochimico e oggi ricercatore di immunologia al Max Planck Institute di Berlino racconta di aver lasciato Roma per la Germania poco dopo l’inizio della sua carriera accademica: “nel giro di poco tempo mi sono reso conto di essermi formato per essere funzionale al sistema tedesco”. A partire dalla propria esperienza e incrociando le sue competenze scientifiche con la passione per la sociologia e la statistica, ha dedicato al tema un saggio appassionato, arricchito dalla prefazione del giornalista Riccardo Iacona e da una testimonianza della scienziata Ilaria Capua. Il libro esplora le cause e le conseguenze della costante emorragia di giovani talenti dall’Italia, evidenziando come il contesto lavorativo e accademico nazionale non riesca a trattenerli.

L’autore ha presentato il libro stamane nella Sala del Cenacolo della Camera dei Deputati insieme a Giulia Pastorella, deputata di Azione e autrice di Exit Only, altro saggio sul tema, Agnese Rossi, analista geopolitica della rivista Limes, e Daniele Cecchetti, rappresentante del gruppo “Precari uniti del CNR 2.0”, impegnato nella lotta per migliori condizioni di lavoro nella ricerca pubblica italiana.

RICERCATORI, PROFESSIONISTI, STUDENTI: QUANTI SONO GLI ITALIANI ALL’ESTERO

La ventunesima regione italiana? L’estero, e non certo per numero di abitanti: oggi sono quasi 6 milioni i residenti italiani fuori dai nostri confini, un milione di espatriati solo tra il 2014 e il 2023. Poco male, si dirà: è la mobilità internazionale. Se non fosse che il saldo complessivo tra cittadini italiani immigrati ed emigrati è costantemente in negativo: nel periodo si contano 515 mila rimpatri, e quindi una perdita complessiva di cittadini di 566 mila persone, di cui un terzo con un’età compresa tra i 25 ai 34 anni. Per giunta, 1 su 4 è laureato. Insomma, nessuna circolarità in questo movimento, e tutti i tratti distintivi, all’opposto, dell’emigrazione di massa.

“Secondo le previsioni, entro il 2027, in Italia ci saranno più ottantenni che diciottenni, un ribaltamento della piramide demografica che avrà effetti devastanti sul sistema economico. La fuga dei giovani più qualificati aggrava ulteriormente la crisi, riducendo il potenziale innovativo e produttivo del Paese”, sottolinea Foti. “Mentre in Italia dal 2018 al 2021 sono sbarcati 131.210 migranti, negli stessi quattro anni hanno spostato la residenza all’estero 497.240 italiani. Un’evasione a tutti gli effetti, all’opposto di ciò che veniva raccontato sui media in quegli anni”.

RICERCATORI IN FUGA: 134 MLD DI PERDITE IN 13 ANNI

Per quanto riguarda i “cervelli in fuga”, le cose non vanno certamente meglio. L‘Annuario 2023 dei ricercatori italiani all’estero stima che oltre 33.000 ricercatori italiani lavorino all’estero, con oltre 14.000 dottori di ricerca che hanno lasciato l’Italia tra il tra il 2008 e il 2019. Il costo per il sistema Paese è stato stimato in 134 mld di euro tra il 2011 e il 2024, come evidenzia uno studio presentato della Fondazione Nord Est. L’Italia non è un Paese attrattivo: Regno Unito, Germania, Francia, Svizzera e Spagna sono le principali destinazioni, che assorbono oltre la metà degli expats.

Nel suo intervento, Agnese Rossi ha sottolineato come la classe politica italiana abbia spesso trascurato il problema, mentre l’università si è trasformata in un’istituzione orientata prevalentemente alla ricerca di finanziamenti, senza una strategia chiara per trattenere e attrarre i talenti: la mancanza di investimenti adeguati impedisce la conversione del capitale culturale in opportunità economiche concrete.

Daniele Cecchetti, del gruppo “Precari uniti del CNR 2.0”, ha denunciato le condizioni di estrema precarietà del settore: un ricercatore può lavorare per 15 anni senza alcuna prospettiva di stabilizzazione. Nonostante il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) abbia previsto finanziamenti per le infrastrutture di ricerca, le assunzioni restano prevalentemente a tempo determinato, limitando le possibilità di crescita professionale.

Gli interventi possibili, secondo l’on. Giulia Pastorello, si articolano secondo due linee di intervento: risorse e regolamentazione. “Posto che l’Italia non si trova nella condizione di poter creare ulteriore debito, occorre revisionare i contratti e garantire l’equipollenza dei titoli esteri. Ma c’è anche qualcosa da salvare: l’emigrazione giovanile, nel contesto più ampio del mercato del lavoro, risulta un’opportunità di integrare un’offerta che altrimenti non troverebbe sfogo”.

ESEMPI INTERNAZIONALI E PROSPETTIVE

Per indicare una strada, Foti ricorda il modello Taiwan, capace di contrastare l’emigrazione dei suoi laureati investendo massicciamente nel settore dei semiconduttori, di cui oggi è un leader globale. Lo stesso ha fatto la Cina in termini di investimenti strategici nell’IT e nel software engineering, con milioni di studenti formati ogni anno, che oggi le permettono di cavalcare sicura verso il primato nel settore dell’intelligenza artificiale.

In Italia, invece, la burocrazia e la mancanza di finanziamenti strutturali frenano lo sviluppo della ricerca. Gli incentivi fiscali per il rientro dei cervelli non sono sufficienti se il mercato del lavoro rimane instabile e privo di opportunità concrete.

Per invertire la tendenza, servono politiche concrete: finanziamenti adeguati alla ricerca, stabilizzazione dei contratti, agevolazioni fiscali mirate e un miglioramento generale delle condizioni lavorative. Solo così l’Italia potrà tornare ad essere un Paese attrattivo per i suoi giovani talenti, evitando di continuare a esportare il proprio capitale umano senza prospettive di ritorno.

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