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Carlo Bartoli Odg

Perché all’Odg non piace la riforma dell’attività giornalistica

Le preoccupazioni del presidente dell’Odg Bartoli: ‘Limitano fortemente la libertà di stampa”

L’Ordine dei Giornalisti ha lanciato l’allarme sulle recenti proposte di riforma normativa riguardante la stampa, che potrebbero rappresentare una minaccia alla libertà di informazione in Italia.

PER IL PRESIDENTE DELL’ODG SI RISCHIA ‘DERIVA TURCA’

Durante una conferenza tenutasi a Roma presso la sede della Stampa estera, il presidente dell’Odg, Carlo Bartoli, ha espresso la sua preoccupazione per l’approvazione di una serie di norme, tra cui quelle sulla presunzione di innocenza, il divieto di pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare e le intimidazioni legali nei confronti dei giornalisti. Secondo Bartoli, queste riforme rischiano di avvicinare l’Italia a regimi autoritari come quello turco, allontanandola dal modello democratico degli Stati Uniti. “Rischiamo di assomigliare più alla Turchia che agli Stati Uniti”, ha affermato.

“IL PARLAMENTO SI FERMI, A RISCHIO DIRITTO A ESSERE INFORMATI”

Il presidente ha sottolineato l’urgenza di fermare queste iniziative legislative, che limiterebbero non solo la libertà di stampa ma anche il diritto dei cittadini a essere correttamente informati. “Chiediamo al Parlamento di fermarsi, di riflettere e di rivedere una serie di leggi che hanno mostrato tutti i loro limiti e tutti gli effetti distorsivi”, ha dichiarato Bartoli, spiegando che queste norme “mettono a rischio il diritto dei cittadini ad essere informati”.

I PUNTI CRITICI DELLA RIFORMA CONTESTATI DALL’ODG

Tra i punti più critici evidenziati, c’è anche la riforma della diffamazione, attualmente in discussione al Senato, che prevede sanzioni amministrative sproporzionate, fino a 50.000 euro per i giornalisti condannati, una cifra insostenibile soprattutto per i freelance. “Se un giornalista viene condannato per diffamazione può arrivare a dover pagare fino a 50.000 euro, una somma che equivale a tre o quattro anni di lavoro per un freelance”, ha spiegato Bartoli. Inoltre, ha denunciato il rischio di “turismo giudiziario” con l’introduzione di una norma che permetterebbe al querelante di scegliere il foro di residenza per il processo, penalizzando ulteriormente i giornalisti.

FNSI: “REVISIONE DANNOSA DELLE NORME SU ATTIVITA’ GIORNALISTICA”

Durante la conferenza ha preso parola anche Domenico Affinito, segretario generale aggiunto vicario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi), che ha definito la revisione delle leggi sulla professione “non organica ed è dannosa”. Affinito ha ribadito la necessità di una revisione legislativa più ampia e moderna delle normative che regolano il giornalismo, molte delle quali risalgono al 1948. “Avremmo bisogno di una nuova stagione legislativa che riprendesse in mano tutte le norme che riguardano la nostra professione”, ha affermato, sottolineando che “alcune sono da riscrivere, la legge sulla stampa è del ’48 e ha elementi antistorici al suo interno”.

LE ALTRE PRESE DI POSIZIONE

Gianluca Amadori, coordinatore di un gruppo di lavoro del Consiglio nazionale dell’Odg, ha evidenziato come le riforme attuali facciano parte di un disegno più ampio per limitare la libertà di stampa. “Non si tratta di iniziative casuali, messe una dietro l’altra fanno capire che c’è un disegno”, ha commentato. Amadori ha citato anche le parole del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che già nel 1997 aveva criticato l’ipocrisia del sistema, affermando: “Se la legge consentisse la diffusione delle notizie attraverso un addetto stampa e con comunicati ufficiali, i giornalisti avrebbero il materiale dove lavorare, modellandovi i commenti che credono. Invece la riconosciuta ipocrisia del sistema, impedendo formalmente la divulgazione degli atti, consente di fatto l’arbitrarietà delle illazioni più fantasiose”.

Anche lo scrittore e giornalista Gian Antonio Stella ha preso parte alla discussione, criticando la riduzione dell’uso delle intercettazioni, considerate fondamentali per smascherare scandali, come nel caso del terremoto de L’Aquila del 2009. “L’audio della telefonata tra due imprenditori, subito dopo il terremoto dell’Aquila, che ridevano pensando agli affari che si potevano fare con la ricostruzione, oggi non uscirebbe”, ha sottolineato Stella. Non si piò dire che l’appello rivolto al Parlamento non sia stato chiaro.

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