Da Forza Italia e non solo arrivano preoccupazioni sulla norma che pone un tetto alle retribuzioni dei manager pubblici, rischio di verso verso il privato e perdita di competenze per la PA
La proposta di ridurre il tetto agli stipendi dei manager pubblici, inclusa nella manovra di bilancio del governo Meloni, sta sollevando forti discussioni politiche e preoccupazioni da più parti. Forza Italia, insieme ad alcuni esponenti dell’area liberale, si è fatta portavoce di un malcontento crescente. E non sono mancate le prese di posizione da parte di lobbisti interessati da vicino al dibattito in corso.
FORZA ITALIA: DA TETTO AI MANAGER RISCHIO FUGA VERSO IL PRIVATO E PERDITA DI COMPETENZE
Forza Italia ha espresso chiaramente il suo dissenso rispetto alla proposta di abbassare il tetto agli stipendi per i manager della PA. Il senatore Dario Damiani, capogruppo di FI in Commissione Bilancio, ha dichiarato apertamente che il partito non è “felicissimo” di questa misura. Damiani ha sottolineato come il tetto già in vigore abbia spinto numerosi manager a lasciare la pubblica amministrazione per il settore privato, e l’ulteriore riduzione del limite rischierebbe di amplificare questo fenomeno, depauperando la PA di risorse umane cruciali. A suo avviso, la misura merita una profonda riflessione prima di essere attuata.
Simili preoccupazioni sono state espresse da Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati, che ha definito la riduzione del tetto “un errore”, aggiungendo che la pubblica amministrazione ha bisogno di figure altamente competenti e capaci, che devono essere adeguatamente valorizzate e retribuite. Un taglio significativo agli stipendi porterebbe inevitabilmente i migliori talenti a preferire il settore privato, con conseguenze negative per l’efficienza e la qualità dei servizi pubblici.
IL TETTO AGLI STIPENDI DEI MANAGER E L’IMBARAZZO DEL MINISTRO ZANGRILLO
La proposta attuale mira a ridurre il tetto da 240.000 a 160.000 euro lordi, pari allo stipendio del presidente del Consiglio. Questo nuovo limite si applicherebbe non solo ai dirigenti della pubblica amministrazione, ma anche ai presidenti, amministratori delegati e direttori generali di enti pubblici, fondazioni, e altre organizzazioni che ricevono contributi pubblici. Si tratta di una misura che nasce dalla volontà del governo di contenere la spesa pubblica, come spiegato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Tuttavia, anche all’interno dell’esecutivo non mancano divergenze.
Paolo Zangrillo, ministro per la Pubblica Amministrazione e membro di Forza Italia, ha cercato di rassicurare i colleghi affermando che la norma non è ancora definitiva e che riguarderà principalmente le realtà che ricevono contributi statali, lasciando fuori i dirigenti delle amministrazioni che già oggi hanno un tetto di 240.000 euro. Zangrillo, in passato, si era espresso a favore del superamento del tetto attuale, posizione condivisa da altri esponenti di Forza Italia, tra cui Alessandro Cattaneo, che teme una competizione impari con il settore privato.
LE PRESSIONI DEI LOBBISTI PER LIMITARE GLI EFFETTI DELLA NORMA
Accanto alle prese di posizione politiche, anche i lobbisti stanno provando a esercitare una certa moral suasion. Le discussioni nel fine settimana tra i tecnici del Ministero dell’Economia hanno visto i rappresentanti di vari settori mobilitarsi per cercare di mitigare gli effetti del provvedimento. Le principali preoccupazioni riguardano gli effetti di questa “cura dimagrante” sugli stipendi dei manager pubblici e dei dirigenti delle aziende statali e parastatali che ricevono sovvenzioni pubbliche.
Alcuni enti e fondazioni potrebbero avere margini di manovra per aggirare il limite, dimostrando una gestione finanziaria sana e rinunciando ai trasferimenti statali. Tuttavia, per molti altri, il tetto di 160.000 euro rappresenterebbe un taglio significativo. I lobbisti stanno lavorando per ottenere esenzioni e clausole che possano preservare stipendi più elevati in specifici casi.
LA STRATEGIA E LA DIFESA DEL GOVERNO
Il governo Meloni, con il sostegno del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, difende la misura come una forma di equità nella gestione dei fondi pubblici. Urso ha dichiarato che un tetto pari allo stipendio del Presidente del Consiglio è ragionevole per coloro che gestiscono risorse statali, evidenziando l’importanza di un uso rigoroso dei contributi pubblici. Il ministro Giorgetti, dal canto suo, ha inserito questa misura nell’ampio contesto della spending review, con l’obiettivo di contenere la spesa pubblica anche nelle fondazioni e associazioni che ricevono fondi dallo Stato. Il dibattito resta aperto, e sarà il Parlamento a decidere il destino di questa norma.