Maurizio Leo nel 2009 era il presidente della commissione parlamentare sull’Anagrafe tributaria che approvò un documento per introdurre il redditometro di massa sulla generalità dei contribuenti
Il redditometro manda in tilt la maggioranza di centrodestra. O forse, è meglio dire, isola il viceministro Leo, abbandonato da tutti. Contro il decreto voluto dall’esponente del Mef, nominato in quota FdI, che reintroduce lo strumento abolito nel 2018, si sono schierati gli alleati di Lega e Forza Italia, nonché i due vicepremier Tajani e Salvini, nel silenzio imbarazzato del ministro Giorgetti. Non solo. La stessa presidente del Consiglio Meloni, nonché leader di Fratelli d’Italia, in mattinata ha chiamato a rapporto Leo al prossimo Cdm di venerdì. Evidentemente non è stata ritenuta sufficiente l’intervista odierna del viceministro sul Corriere della Sera (la testata alla quale abitualmente si affidano gli esponenti di FdI quando si tratta di aggiustare il tiro o raddrizzare la narrazione comunicativa).
Con queste premesse il redditometro rischia di fare la stessa fine del superbonus. Rigettato e schifato da tutti, in particolare adesso in campagna elettorale, salvo poi ricordare che tutti, destra e sinistra, nel corso degli anni hanno lasciato a vario titolo le proprie impronte digitali.
DA SINISTRA A DESTRA TUTTI HANNO LASCIATO IMPRONTE SUL REDDITOMETRO
Dal 2007 (al Mef Padoa Schioppa) al 2009 (ministro Giulio Tremonti), andando avanti poi nel tempo, i vari governi di centrodestra e centrosinistra si sono trovati a che fare più volte, attraverso la longa manus dell’Agenzia delle Entrate, con questo strumento usato per scovare gli evasori fiscali.
Nel 2007, ad esempio, la famiglia faceva il suo ingresso nel redditometro. Una nota delle Agenzie delle entrate del 9 agosto di quell’anno, in piena estate, confermava l’attenzione del fisco alla capacità di spesa manifestata dalle famiglie. Decisione contro la quale si scagliò proprio Tremonti, tuonando contro il redditometro “con cui la sinistra vuole torchiare le famiglie”. Nell’estate dell’anno successivo però, governo Berlusconi, entrò in vigore il decreto legge n.112, che portava la firma dell’allora ministro dell’Economia Tremonti (attuale senatore di FdI), del ministro per la Semplificazione normativa Calderoli (attuale ministro del governo Meloni) e di altri ministri.
IL DL 112/2008, GOVERNO BERLUSCONI E MINISTRO TREMONTI
“Il piano straordinario previsto dal dl 112/2008 – riportava un articolo del Sole24Ore del luglio 2009 – ha introdotto una procedura rafforzata per l’accertamento da redditometro. Dal testo del Dl 112, infatti, emerge l’indicazione di incrociare i dati dei beni posseduti con le indagini finanziare. La norma rimanda infatti ai classici accertamenti da redditometro, spiegando che andranno fatti “sulla base di elementi e circostanze di fatto certi desunti dalle informazioni presenti nel sistema informativo dell’anagrafe tributaria nonché acquisiti in base agli ordinari poteri istruttori e in particolare a quelli” che si svolgono sulla base delle indagini finanziare”.
MAURIZIO LEO NEL 2009 PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DI VIGILANZA SULL’ANAGRAFE TRIBUTARIA
Quello che però è interessante ricordare, è che Maurizio Leo nel 2009, all’epoca del governo Berlusconi e con Giorgia Meloni ministra della Gioventù, era il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza sull’Anagrafe tributaria, in quota Pdl.
Nell’estate di quell’anno la Commissione realizzò un’indagine conoscitiva che si concluse con un documento che venne presentato dal Sole24Ore con questo titolo ‘Il redditometro di massa’ e che si basava su questa strategia: “è essenziale modificare radicalmente lo strumento del redditometro, «automatizzandolo» il più possibile, realizzando così forme di accertamento di massa da redditometro”.
DOCUMENTO DELLA COMMISSIONE PRESIEDUTA DA LEO: SERVE UN REDDITOMETRO DI MASSA
“La proposta forte avanzata nelle conclusioni dell’indagine conoscitiva – si legge nell’articolo del 24 luglio 2009 del giornale di Confindustria – prevede l’istituzione di un nuovo “redditometro di massa”, in grado di consentire accertamenti “sulla generalità dei contribuenti”. Se contro l’evasione ‘interpretativa’, in sostanza l’elusione, gli uffici dispongono degli strumenti per farvi fronte, per il contrasto all’evasione di massa – si legge nel documento – si deve passare necessariamente dall’accertamento sintetico e dal redditometro. Si dovrebbe altresì superare il criterio dell’autodeterminazione dei tributi “in favore di un concordato preventivo”, che potrebbe essere biennale, nonché incentivare i contribuenti a dichiarare i maggiori redditi “attraverso la misura della detassazione del reddito incrementale”.
NEL DOCUMENTO DELLA COMMISSIONE DI LEO LA PAROLA REDDITOMETRO USATA 73 VOLTE
Ecco un passaggio del documento approvato nel 2009 dalla Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, di cui Maurizio Leo era presidente, con riferimento alle strategie di contrasto all’evasione e nel quale parola ‘redditometro’ compariva 73 volte.
“Oggi i molti dati a disposizione dell’amministrazione finanziaria, contenuti nelle diverse banche dati, sono spesso disallineati e poco coerenti. È quindi necessario, dapprima migliorare, ampliare e standardizzare il sistema delle banche dati e, in secondo luogo, creare strumenti nuovi, idonei a razionalizzare i dati a disposizione dell’amministrazione finanziaria. In tale ottica, è essenziale modificare radicalmente lo strumento del redditometro, «automatizzandolo» il più possibile, realizzando così forme di accertamento di massa da redditometro.
La maggior parte dei contribuenti di ridotte e ridottissime dimensioni potrebbero essere accertati a tavolino dagli Uffici locali mediante l’utilizzo di un nuovo redditometro che faccia riferimento non a beni di lusso o diffusi presso una cerchia ristretta di soggetti, ma a beni di più o meno largo consumo e la cui applicazione sia quasi completamente automatica con la creazione di credibili collegamenti tra le spese sostenute e i redditi fondatamente attribuibili al contribuente in ragione di quelle spese.
D’altra parte, sembra obbligata la scelta di privilegiare forme di accertamento del reddito di tipo sintetico, come nel caso del redditometro. Data la struttura produttiva italiana non è assolutamente ipotizzabile pensare di contrastare l’evasione di massa mediante le ordinarie procedure di accertamento, giacché le capacità di controllo da parte delle risorse umane a disposizione degli Uffici sono limitate (solo il 2 per cento delle imprese possono essere controllate ogni anno da parte dell’amministrazione finanziaria)”.