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La great resignation è arrivata anche in Italia?

Da gennaio a settembre 2022, 1.7 milioni di lavoratori ha scelto di dimettersi per cambiare la propria vita. Virando verso un altro impiego o preferendo anche di fermarsi un periodo

Il mondo del lavoro nell’epoca post-pandemia ha tra i fenomeni dominanti quello della cosiddetta great resignation, cioè delle dimissioni di massa. Una scelta della quale si fanno carico sempre più lavoratori, assumendosi la responsabilità – più di qualche volta – di un salto nel vuoto nel proprio futuro lavorativo.

A livello mondiale, ad esempio, per McKinsey (settembre 2022) i mesi successivi – quindi già oggi – avrebbero visto circa il 40% dei lavoratori abbandonare il proprio impiego corrente in favore di un altro. Ma anche in Italia, dove oltre a dimissioni di massa si potrebbe usare l’espressione fuga di talenti, per l’Osservatorio sul precariato dell’Inps il 2022 ha segnato un +33% circa di dimissioni sul 2021. Numeri in aumento anche sul lungo termine, rispetto al 2018, e che soltanto in sei mesi dell’anno appena trascorso hanno superato il milione.

NEL 2021 1,7 MILIONI DI LAVORATORI ITALIANI SI E’ DIMESSO

Ulteriori dettagli che aiutano a comporre il puzzle delle condizioni del mondo del lavoro in Italia sono emersi dai dati del ministero del Lavoro: in nove mesi del 2022 quasi 1,7 milioni di lavoratori ha lasciato il proprio posto in favore di un altro. Di più: in uno studio dell’Osservatorio del Politecnico di Milano citato oggi da La Stampa emerge come nell’ultimo anno il tasso di turnover sia aumentato per il 73% delle aziende con il 45% degli occupati che dichiara di aver cambiato lavoro nell’ultimo anno o di avere intenzione di farlo da qui a 18 mesi.

Le cause di tali scelte drastiche? Ricerca di benefici economici, opportunità di carriera, salvaguardia della salute fisica e mentale, priorità alle proprie passioni, ricerca di maggior flessibilità.

UNA VERA RESIGNATION?

Secondo Francesco Seghezzi dell’associazione Adapt, però, l’aumento delle dimissioni da luglio a settembre è in deficit rispetto alle nuove attivazioni.  “Questa sembra una conferma di quanto già osservato nei mesi scorsi ossia che siamo di fronte a una dinamica concorrenziale all’interno del mercato del lavoro dove si lascia un lavoro peggiore per uno migliore”, aggiunge Seghezzi.

Spiegando che la dinamica, positiva, si motiva “anche dai numeri importanti dei concorsi pubblici degli ultimi trimestri che hanno sicuramente orientato le dimissioni”. E che, sì, le persone vogliono cambiare lavoro sia per confluire verso una posizione salariale migliore sia per andare a beneficiare di migliori condizioni organizzative. Ciò vale sia “nei settori medio-alti” che in quelli bassi, ovunque conta sempre più operare in maniere indipendente e forte nel contesto lavorativo di riferimento.

Scenari? Per Seghezzi “il fenomeno quantitativamente è ancora ridotto e non abbiamo certo livelli anglosassoni di turnover, ma interroga le imprese e potrebbe incidere sulle modalità di organizzazione del lavoro e sulle condizioni offerte, credo questo sia l’aspetto più interessante da monitorare”.

IL CASO BIG TECH (E L’ECCEZIONE LINKEDIN)

La fase attuale per il mondo del lavoro, per i dipendenti e le aziende, è piuttosto articolata. E oltre al fenomeno delle grandi dimissioni sta facendo registrare da tante settimane quello dei grandi licenziamenti, per esempio nelle cosiddette big tech. “Stando al sito Layoffs.fyi, nel 2022 più di 152mila individui – ricorda Linkiesta – hanno perso la propria occupazione in oltre mille diverse aziende del settore tech statunitense (un record negativo per il comparto tecnologico dall’inizio degli anni Duemila”. 

Un’eccezione positiva, in questo senso, sembra essere LinkedIn: dove il fattore lavoro-agile ha giocato un ruolo positivo. “Con i lockdown molte persone si sono spostate da Milano – dove lavoravano – al loro paese natale. Dopo 5 o 6 mesi si sono fatti delle domande: “mi conviene tornare in una città dove il costo dell’affitto è molto più alto?”. Molti hanno avuto ripensamenti sulla propria vita. Alcuni hanno deciso di licenziarsi e diventare freelance e in questo caso è chiaro che LinkedIn è diventato il primo posto dove cercare nuovi lavori, nuovi clienti e nuovi progetti”, ha spiegato al quotidiano online Cristiano Carriero, esperto di social media marketing e autore di “LinkedIn. Lavoro, carriera e nuovi clienti”.

Fuori dai confini italiani, invece, c’è il caso Malaga. Come racconta Reuters, sulla base delle testimonianze di Aedas Homes e Neinor Homes, la città spagnola e i suoi dintorni della Costa del Sol stanno assistendo a un’impennata di persone che si spostano dal resto d’Europa. “Le aziende in Europa potrebbero prendere in considerazione misure come abbassare lo stipendio o pagare meno a coloro che cercano di lavorare da remoto da altri paesi, perché il dipendente sarà felice perché ha una certa libertà”, ha detto all’agenzia il Ceo di Neinor Homes Borja Garcia-Egotexeaga.

LE SFIDE ECONOMICHE (E NON SOLO) DELLE AZIENDE NEL 2023

Per l’anno che è appena iniziato sembra dominare ancora una prospettiva di incertezza generale. Conferme, in questo senso, sono arrivate dal Forum economico mondiale di Davos della scorsa settimana.

Nell’attesa dei chiari di luna, però, le agende aziendali sono già piene di sfide. “I governi possono regolamentare le aziende per forzare il cambiamento sociale o ambientale, ma molti devono bilanciare l’intervento con il lasciare che i mercati si regolino da soli”, racconta Quartz. Obiettivi di sostenibilità, dunque, che dovranno però andare di pari passo con un ripensamento delle condizioni di lavoro da offrire ai dipendenti. Che, altrimenti, non ci pensano due volte a mollare tutto per andare altrove. Anzi, per rimanere a casa.

Leggi anche: L’economia italiana è in fase contraddittoria. Report Confcommercio (e conferme di Bankitalia)

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