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Medio Oriente

Quale futuro in Medio Oriente: l’analisi de La Civiltà Cattolica

Nonostante gli accordi raggiunti da Israele con Hamas e con Hezbollah e l’annunciata apertura all’Occidente della nuova Siria a guida sunnita, il Medio Oriente rimane una polveriera, come dimostrano l’attentato di ieri a sud di Haifa, dove un veicolo ha investito intenzionalmente un gruppo di pedoni, e la notizia dell’uccisione da parte dell’Idf di un alto funzionario di Hezbollah.

Un articolo di Giovanni Sale apparso sul Quaderno 4190 de La Civiltà Cattolica aiuta a ricostruire il complicato mosaico mediorientale e avanza alcune ipotesi sul futuro di Siria, Libano e Gaza, le cui leadership devono affrontare una fase delicata di grandi cambiamenti.

SIRIA, UNA NUOVA GUIDA IN MEDIO ORIENTE

A partire dal novembre 2024, la Siria ha vissuto una serie di eventi che hanno radicalmente trasformato il suo panorama politico e militare. Il 27 novembre, il gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS) ha lanciato un’offensiva fulminea, sorprendendo le forze governative e portando alla cattura di Aleppo il 29 novembre. Nel giro di pochi giorni, le forze ribelli hanno conquistato Hama e Homs e raggiunto le periferie di Damasco il 7 dicembre. Di fronte a questo rapido deterioramento della situazione, Assad ha abbandonato la capitale l’8 dicembre, trovando asilo politico a Mosca. La caduta del regime ha aperto una nuova fase di incertezza per la Siria, con la formazione di un governo di transizione guidato da HTS e presieduto da Mohamed al-Bashir.

Al-Jolani, guida carismatica dell’HTS, un tempo legato ad al-Qaeda e Isis, nel 2017 aveva preso le distanze dalle due organizzazioni terroristiche, assumendo il governo di Idlib, dove molti ribelli del regime di Assad venivano a ripararsi, protetti dall’ombrello della Turchia. Nei giorni successivi alla presa di Damasco, al-Jolani ha preso le distanze dal suo passato di islamista radicale, riassumendo il suo vero nome, Ahmad al-Sharaa. Sottolineando l’importanza della stabilità e della riconciliazione, ha affermato che la nuova leadership sarà aperta alla partecipazione di diverse fazioni politiche e gruppi sociali, garantendo rappresentanza anche alle minoranze, tra cui quella curda.

La prima vera sfida del nuovo leader della Siria, sottolinea Sale, sarà quella di creare un nuovo esercito nazionale in un Paese estremamente diviso e frammentato, in cui coesistono malvolentieri svariate formazioni armate. E, aspetto da non sottovalutare, è presente anche Israele, che ha prontamente occupato le alture del Golan all’indomani della marcia dei ribelli verso Damasco.

CHI GUIDERÀ IL LIBANO?

L’insurrezione, tra le altre cose, taglia fuori l’Iran dalla linea di rifornimenti per Hezbollah in Libano e sancisce il rapido declino dell’influenza di Teheran nel quadrante mediorientale.

Nel frattempo, Hezbollah aveva visto la sua classe dirigente decimata da Israele e le sue capacità militari notevolmente ridimensionate da un conflitto che ha avuto esiti atroci, con 4000 morti, circa un milione e mezzo di sfollati e un danno economico che la Banca mondiale stima in un terzo del Pil.

Le strutture di Hezbollah nel Paese sono state spazzate via e, malgrado la tregua siglata a novembre possa resistere anche a lungo, per le reciproche convenienze di Hezbollah e Israele, non è detto che la guida del Libano rimanga in mano al gruppo sciita.

GAZA: LA “RIVIERA DEL MEDIO ORIENTE” È MOLTO LONTANA

Il piano di Trump per trasformare Gaza nella “riviera del Medio Oriente” è piuttosto lontano dal realizzarsi. Malgrado la situazione rimanga complicata, al momento, l’intesa sul cessate il fuoco tra Hamas e Israele in vigore dal 19 gennaio sembra reggere. Tuttavia, le esperienze precedenti insegnano quanto questi momenti siano critici: nel novembre 2023, un’intesa fragile si sgretolò proprio in questa fase.

Il cessate il fuoco è giunto quando ormai Gaza è stata devastata, con la popolazione stremata dalla fame e le città trasformate in rovine. Il bilancio umano è drammatico, con circa 47.000 palestinesi uccisi, molti dei quali civili.

La terza fase dell’accordo prevede la costituzione di una nuova governance per Gaza. Malgrado Netanyahu non sia riuscito, com’era suo obiettivo, a debellare del tutto Hamas, non è detto che sarà nuovamente la formazione sunnita a governare la Striscia.

La guerra ha inflitto gravi perdite al gruppo, sia in termini di leadership che di infrastrutture militari e governative. Inoltre, la pressione internazionale potrebbe favorire l’istituzione di un’amministrazione alternativa, magari sostenuta dall’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) o da una forza di stabilizzazione internazionale.

Anche il malcontento della popolazione, colpita duramente dal conflitto, potrebbe indebolire il sostegno a Hamas e alimentare richieste di un cambiamento politico.

Infine, Israele e gli attori regionali, come Egitto e Stati Uniti, potrebbero spingere per una nuova governance che riduca l’influenza del gruppo armato.

Esiste però il rischio concreto che anche di fronte a una nuova amministrazione l’appoggio dei palestinesi alla lotta contro Israele non cambi di segno, visti i tragici risvolti del conflitto. Senza contare che l’imposizione di una nuova guida potrebbe portare a insurrezioni e a nuove instabilità nella regione.

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