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Cina dipendenza

Il “pericoloso abbraccio” di Pechino all’eurozona: aumenta la dipendenza economica dalla Cina

Un report della BCE analizza tutta la difficoltà dei paesi dell’eurozona dal rendersi indipendente economicamente dal gigante asiatico. Gli Usa, invece, hanno diminuito la dipendenza dall’economia della Cina

L’eurozona è sempre più dipendente dalla Cina. La Banca centrale europea nel report Geopolitica e commercio nell’euro zona e Stati Uniti: ridurre il rischio delle forniture di importazione? analizza il peso economico della Repubblica popolare per l’eurozona e, di conseguenza, il livello di dipendenza del nostro continente dal gigante asiatico.

I risultati degli analisti europei rivelano che se gli Stati Uniti si sono instradati su un percorso di indipendenza commerciale dalla Cina, i Paesi dell’eurozona invece stanno conducendo il tragitto inverso, aumentando la propria esposizione a paese asiatico.

E questo sebbene gli accadimenti geopolitici degli ultimi anni, dalla pandemia di COVID-19 alla guerra in Ucraina alle tensioni commerciali tra Usa e paesi dell’area del pacifico, abbiano reso evidente quanto possa essere pericoloso rendersi vulnerabili nell’approvvigionamento estero di beni intermedi e finali.

DIPENDENZA DALLA CINA: IL VALORE GEOPOLITICO DELLA DIVERSIFICAZIONE

Sia gli Usa che l’Unione europea hanno diversificato le loro fonti di approvvigionamento aumentando il numero di paesi da cui importano ogni singolo prodotto. “Ciò ha subito un’accelerazione dopo la pandemia, soprattutto nell’area dell’euro – si legge nel report della BCE -. I rischi geopolitici hanno giocato un ruolo importante: la diversificazione è stata più forte per i prodotti che arrivavano da paesi geopoliticamente distanti dall’area euro e dagli Stati Uniti” come Cina, Russia e Iran.

“Si potrebbe pensare che questa tendenza sia emersa prima negli Stati Uniti rispetto all’area dell’euro, in linea con la cronologia delle dispute commerciali tra l’amministrazione Trump e la Cina – si legge nel report -. Tuttavia, la nostra analisi mostra che in entrambe le aree, euro e Stati Uniti, la diversificazione si è intensificata dal 2021, raggiungendo il picco con l’invasione russa dell’Ucraina. Tra i Paesi geopoliticamente lontani, l’aumento della diversificazione sembra essere trainato in gran parte dalla Cina, poiché l’effetto cessa di essere significativo se la Cina è esclusa dal campione. Questo risultato è coerente con le prove di aziende che si stanno orientando verso una strategia “Cina-plus-one” (Basu e Ray, 2022), ovvero ridurre la loro dipendenza dalla Cina spostando le operazioni in altri Paesi come Vietnam, Indonesia o Thailandia”.

I COSTI DELLA DIVERSIFICAZIONE

Certo la diversificazione ha avuto un costo. I nuovi paesi fornitori, infatti, sono, in media, più costosi rispetto ai precedenti. “L’impatto sui prezzi aggregati è stato modesto: nel periodo 2016-23, i prodotti sono stati nuovi i paesi rappresentavano una quota molto piccola delle importazioni totali (0,2-0,3%), il che ha implicato effetti modesti sull’inflazione e sulle ragioni di scambio”.

LA ZONA EURO FA FATICA AD AFFRANCARSI DALLA DIPENDENZA DALLA CINA

I dati, dunque, sono eloquenti e non sono rassicuranti. Dal 2016 la quota di prodotti in arrivo dalla Cina nell’area dell’euro è aumentata di 3 punti percentuali, al contrario negli USA è calata di 11 punti. Questi numeri conducono a un’altra conclusione: dal 2022, l’esposizione dell’area euro alla Cina è maggiore rispetto agli Stati Uniti.

Quello che è ancora più preoccupante è che la Cina “non è solo il principale Paese di approvvigionamento per 33 beni strategici importati dall’area dell’euro, ma ha anche oltre il 50% del mercato di importazione dell’area dell’euro per il 75% di questi prodotti. Per gli Stati Uniti, questa percentuale sale al 90%”. Gli Stati Uniti sono il secondo maggiore fornitore di beni strategici per l’area dell’euro, con 14 prodotti. Nessun altro Paese fornisce più di sette prodotti strategici all’area dell’euro. Tra i beni strategici per i quali l’eurozona è dipendente dalla Cina ci sono le terre rare come litio, tungsteno, rame, cromo, indispensabili per compere la transizione energetica che dovrebbe sganciare il Vecchio continente dalla dipendenza dal gas russo e che, invece, hanno spinto l’eurozona tra le braccia della Repubblica popolare cinese.

DIVERSIFICAZIONE: STRATEGIA PREFERITA DA UE E USA

La dipendenza europea dalle importazioni cinesi non è solo un problema economico, ma rappresenta anche una minaccia per la sicurezza industriale e tecnologica del continente. La capacità di Pechino di influenzare il mercato europeo di materie prime strategiche mette a rischio la stabilità delle filiere industriali europee, lasciando l’Europa vulnerabile a potenziali interruzioni o manipolazioni delle forniture. Tuttavia, gli analisti della BCE restano, comunque, ottimisti. “In generale, i nostri risultati indicano che, sia negli Stati Uniti che nell’area dell’euro, la diversificazione sembra essere la strategia preferita per aumentare la resilienza della catena di approvvigionamento – scrivono gli analisti della BCE nelle loro conclusioni -. Le misure volte a riequilibrare in modo significativo e, in particolare, a ridurre l’esposizione ai Paesi di approvvigionamento geopoliticamente distanti sono state molto meno evidenti”.

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