Le nuove politiche di difesa e sicurezza dell’Ue, il piano ReArm Eu e le pressioni statunitensi avvicinano la Turchia all’Unione europea. E all’Italia con cui il Paese ha una lunga e consolidata tradizione di cooperazione
La Turchia e il Mar Nero sono tornati al centro del dibattito internazionale. La condivisione delle rotte sul Mar Nero è stata centrale anche nella doppia intesa incrociata, tra Stati Uniti e Ucraina e Stati Uniti e Russia, che dovrebbe portare a una tregua del conflitto russo – ucraino. La Turchia è centrale anche per le relazioni internazionali del nostro paese, per molteplici ragioni dalle politiche di difesa e sicurezza a quelle migratorie.
Di tutto questo ne abbiamo parlato con il prof. Mustafa Aydin, professore di relazioni internazionali presso Kadir Has University (Istanbul) e presidente dell’International Relations Council of Turkey.
Prof. Aydin, perché il Mar Nero è tornato ad essere centrale nelle relazioni internazionali?
La risposta è abbastanza semplice: a causa della guerra. Il Mar Nero, fin dalla fine dell’ultima guerra mondiale, è sempre stato una zona piuttosto caotica e attiva, soprattutto per i paesi della regione. Tuttavia, l’attenzione dei paesi occidentali, in particolare dell’Europa, è stata altalenante. Non è mai stata sviluppata una strategia vera e propria per il Mar Nero. Le cose sono cambiate quando è scoppiato un conflitto che potrebbe minacciare la sicurezza degli europei. Quindi, recentemente, dopo l’attacco dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, il Mar Nero è stato trasformato in una zona di conflitto. Così buona parte dei Paesi europei ha iniziato a guardare, e a parlare, di più del Mar Nero. Per altri paesi della regione, come la Turchia o la Romania, la gestione del Mar Nero è sempre stato un argomento di dibattito.
Il Mar Nero è stato anche centrale nell’intesa tra Ucraina e Russia. Ci può spiegare brevemente perché?
Intende il “disaccordo”, giusto?
“Disaccordo”, meglio.
Allora, la Russia ha ambizioni in un’area ampia che include non solo il territorio ucraino, ma anche le rotte marittime e le zone marine ucraine nel Mar Nero. In particolare, l’area intorno alla Crimea, che la Russia, come sa, ha occupato e poi annesso nel 2014. Il controllo di quell’area consente alla Russia di controllare e dominare la geopolitica del Mar Nero, la geopolitica navale. Con le basi in Ucraina e in Crimea, la Russia è in grado di mantenere la sua flotta del Mar Nero. Perché il Mar Nero, anche se è un mare abbastanza profondo al centro, ha pochissimi porti profondi, che sono necessari per le navi militari, per le navi della marina. Quindi, la base russa in Crimea è sempre stata il quartier generale della flotta del Mar Nero sovietica prima, e ora russa. Ecco perché è stato molto importante per la Russia occupare e controllare questa zona.
Successivamente, la Russia ha dichiarato che le zone marine attorno alla Crimea appartenevano alla Russia, ampliando così il suo controllo sul mare. Quando è iniziata la guerra, la Russia ha anche cercato di estendere la sua occupazione fino a Odessa, che è un porto molto importante per l’Ucraina. Così facendo, avrebbe potuto controllare quasi il 40% del territorio marittimo ucraino nel Mar Nero e tutte le rotte marittime di esportazione dell’Ucraina. Ecco perché il controllo del Mar Nero è così cruciale per l’equilibrio geopolitico della regione.
Il 7 aprile il Ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, ha incontrato il Presidente Erdoğan. Italia e Turchia, sono vicini su molti fronti, per anni l’Italia è stata tra i Paesi che più hanno sostenuto l’ingresso della Turchia nell’UE. Oggi, quali sono le principali aree di cooperazione?
Direi la sicurezza e la cooperazione nel settore della difesa. Turchia e Italia collaborano in questi ambiti già da tempo. Di recente, però, questa collaborazione si è rafforzata: aziende turche stanno investendo in aziende italiane e viceversa, aziende italiane hanno iniziato a operare in Turchia. Non sappiamo ancora esattamente fin dove possa arrivare questa cooperazione, ma il potenziale c’è, e sembra che entrambi i Paesi vogliano investirci.
Questa collaborazione porta inevitabilmente anche a un dialogo politico più strategico che non sappiamo dove possa portare ma presumo che, prima o poi, emergerà una posizione anche riguardo alla relazione della Turchia con l’Unione Europea.
Parla del processo di adesione?
No, ormai sono pochi quelli che ci credono davvero, anche in Turchia. Ma ci deve essere un’evoluzione nel rapporto tra Turchia e UE – magari un aggiornamento delle relazioni esistenti. L’Italia potrebbe essere uno dei Paesi a rilanciare questo dialogo, anche perché attualmente, in realtà, di dialogo non ce n’è quasi più.
Secondo lei, la cooperazione tra Turchia e Italia, o altri Paesi europei, potrebbe avere effetti anche sul piano dei diritti umani e della democrazia?
Forse sul lungo termine. Nel breve termine, non vedo grandi effetti dell’UE o dei Paesi europei sulla politica interna turca. Come sapete, dal 2007-2008 praticamente tutte le relazioni con l’Europa in questo ambito si sono fermate, e la Turchia ha smesso di adeguarsi all’acquis comunitario. E di conseguenza, molte delle conquiste raggiunte dalla Turchia negli anni ’90 e 2000, in termini di rispetto dei Criteri di Copenaghen (soprattutto politici), si sono perse o sono state indebolite. Allo stesso tempo, l’Europa ha perso buona parte della sua influenza sulla Turchia. Le critiche europee alla politica turca ormai non fanno più notizia, nemmeno in Turchia, e il governo non le considera rilevanti.
Le politiche dell’amministrazione Trump sulla sicurezza europea hanno fatto emergere la necessità di coinvolgere maggiormente la Turchia nei dibattiti sulla sicurezza europea.
Questo ha dato alla Turchia una certa leva nei confronti dell’Europa, e ha ulteriormente indebolito ogni tipo di critica proveniente dal continente.
Se gli Stati Uniti dovessero davvero uscire dalla NATO, la Turchia diventerebbe la potenza militare principale dell’Alleanza Atlantica. Come cambierebbero le relazioni internazionali e con l’Italia?
Prima di tutto non credo che gli Stati Uniti usciranno dalla NATO. Non sono d’accordo con quell’analisi.
Gli Usa continueranno a fare pressione sui Paesi europei affinché spendano di più e si occupino maggiormente della loro difesa. Questo potrebbe portare alla creazione di un “pilastro europeo” all’interno della NATO, diverso da quello immaginato negli anni ’90. All’epoca era l’Unione Europea che cercava di svilupparlo, senza successo. Ora invece i protagonisti di questa discussione sono Paesi non-UE, come la Turchia, il Regno Unito, e forse anche l’Ucraina. Si tratterebbe quindi di un nuovo tipo di identità o di struttura all’interno della NATO. Ecco se dovesse nascere questo pilastro interno alla NATO sicuramente la Turchia giocherebbe un ruolo importante.
Crede che sarebbe la forza guida?
Non credo, perché – sì, abbiamo un grande esercito – ma ci sono altri Paesi con una capacità industriale e produttiva più avanzata. La Turchia sarebbe uno degli attori chiave. E questo avrebbe un impatto positivo sulle relazioni con l’Italia, perché non ci sono particolari tensioni o dispute politiche tra i due Paesi. Visto che i rapporti si stanno sviluppando da anni, presumo che coopereranno ancora di più in quel contesto. Mi aspetto anche un rafforzamento della collaborazione nel settore della difesa, magari approfittando dei nuovi fondi europei per la produzione militare interna all’UE. La Turchia potrebbe collaborare con l’Italia o con aziende italiane per produrre beni destinati al mercato europeo. E in questo senso la cooperazione potrebbe rafforzarsi.
Soffermandoci sulle ultime politiche statunitensi, cosa significano i dazi del 10% imposti da Trump alla Turchia? Indicano forse un rapporto speciale tra i due Paesi?
No. Da quanto ho capito, l’amministrazione Trump seguiva una formula – non molto logica – per calcolare queste tariffe. Il commercio tra Turchia e USA ha un piccolo surplus a favore della Turchia, e questo ha portato all’applicazione di una tariffa del 10%. Non si tratta di un trattamento speciale, ma di una regola generale applicata a tutti. Inoltre, alcuni beni turchi erano già soggetti a dazi del 25%. Quindi, non è una novità né un vantaggio: è solo una prosecuzione di ciò che già esiste. Alcuni economisti pensano che potrebbe essere un’opportunità per i prodotti turchi di entrare di più nel mercato americano, visto che altri Paesi subiscono dazi più alti. Ma altri temono che, nel frattempo, i prodotti cinesi possano invadere il mercato europeo e sostituire quelli turchi. L’Europa è il nostro principale mercato, più importante degli Stati Uniti. Quindi ci sono scenari positivi e negativi. Dobbiamo solo aspettare e vedere cosa succederà.
Middle East Eye sostiene che sia in discussione una possibile collaborazione tra Ankara e Damasco per la difesa della Siria post-Assad. Se questa collaborazione si concretizzasse, come cambierebbe la posizione della Turchia?
È una questione di cui si discute molto, sia in Turchia sia a livello internazionale. Finora, la Turchia è stata molto cauta rispetto agli sviluppi in Siria, da quando il regime è cambiato. Si prevede che prima o poi ci sarà una forma di accordo militare che permetterà alle forze turche di addestrare l’esercito siriano. La Turchia ha esperienza in questo campo – ha già accordi simili con vari Paesi, soprattutto in Africa. Ci si aspetta anche che la Turchia possa avere basi militari ufficiali in Siria, per aiutare a difendere o stabilizzare il regime siriano fino a quando non sarà in grado di sostenersi da solo. Ma al momento non c’è nessun accordo ufficiale: sono solo ipotesi e analisi. Come sa, Israele è molto scettico su questa possibilità e non è affatto favorevole.
Proprio ieri, il primo ministro Netanyahu era a Washington per parlare con il presidente Trump di questa questione. Ma da quanto ho capito, c’è una sorta di diplomazia informale in corso tra Turchia, Israele e Stati Uniti su tutta questa situazione. Quindi, mi aspetto che nei prossimi due o tre settimane si possa avere un quadro più chiaro.