Che cos’è Parler il Twitter di estrema destra che solletica da tempo il presidente uscente. E perché il tycoon newyorkese non ci si è mai trasferito
Cacciato da Facebook, da Twitter e pure da Reddit, Donald Trump pensa nuovamente a cercare rifugio su Parler, il social network senza filtri e rischi di essere bannati. Non è la prima volta che Trump, invischiato in una deleteria relazione “odi et amo” coi social (ne è un grandissimo fruitore, ma ormai le sospensioni dei suoi account, già frequenti quando minacciava di sparare alle frange violente dei Black Lives Matter, non si contano più) pensa di rifugiarsi su Parler.
LA TWEXIT FORZATA E LO SBARCO SU PERLER?
Nel giugno 2020 Brad Pascale, l’italoamericano più influente nell’entourage del tycoon newyorkese, cinguettò con tono di sfida: “Ehi, Twitter, i tuoi giorni sono contati ormai”, rinviando all’account fresco d’apertura su Parler dove aveva postato un contenuto di Trump che invece su Twitter era stato bloccato.
Hey @twitter, your days are numbered.https://t.co/IImpdRHYlG
— Brad Parscale (@parscale) June 19, 2020
Negli ultimi anni non si sono contati gli esponenti repubblicani che, finiti nei pasticci sul social dell’uccellino azzurro, hanno fatto i bagagli e si sono trasferiti, al grido di #Twexit, su Parler, che si contrappone in tutto e per tutto a Twitter, fin nei colori: livrea ovviamente rossa. Tra questi l’ex candidato alle primarie repubblicane Ted Cruz, che però poco coerentemente aveva pubblicizzato l’apertura del nuovo proprio su Twitter.
I’m proud to join @parler_app — a platform gets what free speech is all about — and I’m excited to be a part of it. Let’s speak. Let’s speak freely. And let’s end the Silicon Valley censorship. Follow me there @tedcruz! pic.twitter.com/pzUFvhipBZ
— Ted Cruz (@tedcruz) June 25, 2020
Fondato nel 2018 da due ragazzi poco più che ventenni, John Matze e Jared Thomson, Parler sembra dovere le sue fortune non tanto alla reclamizzata “assenza di regole”, quando al fatto che tenda a chiudere un occhio, forse tutti e due, di fronte a chi propugna tesi complottistiche, xenofobe e antisemita. È insomma diventato il punto di raduno virtuale preferito dai militanti dell’estrema destra. Prova ne sia che le regole su Parler esistono eccome: non si può inneggiare al terrorismo, minacciare o diffamare e parlare in termini positivi della droga, invitandone al consumo. A sorpresa è perfino più permissivo di Twitter: non sono tollerati infatti i contenuti pornografici, mentre, è noto, il social azzurro è un immenso repository di materiale a luci rosse.
GOOGLE RIMUOVE PARLER DAGLI STORE
Immediata – e probabilmente collegata al trasloco di Trump – la controffensiva di un altro big del Web statunitense: Google, che ha deciso di rimuovere dal proprio store l’app, accusandola di fomentare l’odio e propugnare l’ideologia xenofoba.
LA BOLLA (NERA) DI PARLER
Ma oltre alla controffensiva di Google c’è un altro fatto che impensierisce il presidente uscente. Trump, infatti, accarezza da mesi l’idea di andare su Parler. Se poi però è rimasto su Facebook e Twitter fino alla sua defenestrazione (dai social, sospettosamente arrivata in contemporanea con quella dalla Casa Bianca) è perché il tycoon sa bene che non gli convenisse andarsene. Parler è molto meno diffuso degli altri social e, soprattutto, è già il refugium peccatorum di molti razzisti: lì in mezzo Trump rischierebbe insomma di restare intrappolato in una bolla nera, finendo col parlare a persone con idee già molto più estreme delle sue che lo voterebbero a prescindere, senza però farsi sentire dal resto dell’elettorato, essenziale per farsi eleggere.