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Trump dazi

Chi c’è dietro la decisione del presidente Trump di congelare i dazi

Il Presidente Usa Donald Trump congela i dazi per 90 giorni. Misura dalla quale è esclusa la Cina che, invece, ha visto aumentare le sue imposizioni tariffarie. Ma chi sono gli uomini dietro la decisione del presidente Trump di sospendere i dazi?

La febbre dei dazi è passata. Per lo meno per 90 giorni. Il presidente Usa, Donald Trump, in maniera improvvisa, ha deciso di congelare i dazi annunciati in pompa magna la settimana scorsa e introdurre, invece, una tariffa generalizzata del dieci per cento su quasi tutte le importazioni, come ha comunicato la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt.  Restano le tariffe del venticinque per cento già in essere su acciaio, alluminio e automobili e, soprattutto, la Cina è esclusa da qualsiasi riduzione. Anzi, il presidente Trump ha deciso portare le tariffe in vigore con il gigante asiatico dal centoquattro per cento al centoventicinque per cento.

LE RAGIONI DEL DIETROFRONT: IN 5 GIORNI PERSI 14.500 MILIARDI DI DOLLARI

Le ragioni del parziale, ma rocambolesco, dietrofront del presidente Trump (che solo ieri aveva detto di ricevere richieste lacrimose da parte di tutti i leader della terra per ricontrattare la politica dei dazi) lo si ritrova nel pessimo andamento di Wall Street dopo l’annuncio dell’imposizione dei dazi. Una discesa vorticosa che ha rischiato di trascinare con sé anche il dollaro. Dal giorno dell’imposizione dei dazi si sono volatilizzati circa 14.500 miliardi di dollari, con perdite medie per oltre 50 mila dollari per ogni americano sul risparmio in azioni.

A perdere, e molto, anche gli uomini delle big tech accorsi all’insediamento di Donald Trump: Elon Musk ha perso oltre 100 miliardi di dollari, Jeff Bezos e Mark Zuckerberg hanno perso almeno 20 miliardi di dollari ciascuno.

IL DECLINO DEL DOLLARO

Come scrive Federico Fubini sul Corriere della Sera, la tempesta di perdita di valore stava per toccare anche il dollaro che “aveva già perso il 2% sulla media delle altre principali valute”. “Quanto ai titoli di Stato Usa a dieci anni, i loro rendimenti si sono impennati da meno del 4% a un picco di quasi il 4,5%. Qualcuno stava vendendo pesantemente la carta sovrana dell’America, il cui costo del debito saliva – scrive Fubini -.Potevano essere fondi a caccia di denaro dopo le perdite di borsa. O poteva essere la prima, minima comparsa del virus della sfiducia verso l’immenso debito americano e verso una moneta di riserva mondiale nelle mani di Donald Trump: quello status del biglietto verde non è più semplicemente scontato per il futuro. E poteva anche essere, in parte, la Cina”.

CHI, NELL’AMMINISTRAZIONE TRUMP, È CONTRO I DAZI

Ma se le ragioni economiche del dietrofront sono chiare, chi sono gli uomini che hanno consigliato Trump?

Prima di tutto il “Doge” Elon Musk, tra i primi a esternare, anche sul suo social X, la sua contrarietà alla politica dei dazi in generale e ai dazi nei confronti dell’Unione europea in particolare. Musk ha condiviso un video in cui l’economista Milton Friedman spiegava la necessità di abbattere le barriere tariffarie e non tariffarie mostrando come per fabbricare una semplice matita servissero beni e servizi provenienti da diverse nazioni. “Quello che intendo è che non una sola persona bensì letteralmente migliaia di persone hanno collaborato per costruire questa matita”, spiega l’economista.

Musk lo ha ribadito anche nel corso del suo intervento al Congresso della Lega dello scorso finesettimana esprimendo la speranza che “gli Stati Uniti e l’Europa riescano […] a creare una partnership molto stretta”, per arrivare “a una situazione di zero dazi in futuro, con una zona di libero scambio tra l’Europa e il Nord America”. il segretario al Tesoro Scott Bessent. Secondo quanto rivelato da Politico, Bessent è volato in Florida domenica per chiedere a Trump di rimodulare il suo messaggio sui dazi, focalizzandolo sulla negoziazione di accordi commerciali favorevoli, per non rischiare un ulteriore crollo dei mercati azionari. Intervistato dal New York Times, il segretario al Tesoro ha assicurato che, “a un certo punto, il presidente Trump sarà pronto a negoziare” sui dazi, suggerendo agli interlocutori degli altri governi di “mantenere la calma” e di “venire da noi con le vostre offerte”.

BESSENT E HASSETT: LE VOCI INTERNE ALL’AMMINISTRAZIONE TRUMP CONTRO I DAZI

Un altro sostenitore della linea della moderazione e del libero commercio è il segretario al Tesoro Scott Bessent che, come raccontato da Politico, lo scorso fine settimana ha fatto visita a Trump per suggerirgli di rivedere la politica dei dazi e di frenare le comunicazioni infiammate per raffreddare i mercati.

Tra gli esponenti dell’amministrazione Trump a cui va il merito della marcia indietro sui dazi c’è anche il consigliere economico della Casa Bianca, Kevin Hassett, che a Fox News aveva lasciato trapelare la volontà del presidente di mettere in pausa la politica sui dazi.

LA GALASSIA REPUBBLICANA CONTRO I DAZI DI TRUMP

Ma sono molte le voci della galassia repubblicana fortemente critiche nei confronti delle imposizioni tariffarie. Come riporta Euronews, New civil liberties alliance (Ncla), un gruppo legale conservatore senza scopo di lucro con sede negli Usa, ha intentato una causa la scorsa settimana per conto di un’azienda di cancelleria con sede in Florida, dopo che Trump ha annunciato un prelievo del 34 per cento sulle importazioni dalla Cina come parte dei suoi dazi globali, che si va ad aggiungere al 20 per cento già in vigore. A finanziare l’Ncla c’è Leonard Leo che l’anno scorso ha investito milioni di dollari nel Project 2025 della Heritage foundation, un documento programmatico che mirava a preparare le basi per una seconda presidenza Trump.

Leggi anche: “I dazi di Trump non renderanno ricchi gli Usa”. Parla Nicola Rossi (IBL)

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