L’imam Yahya Pallavicini, vicepresidente di COREIS, riflette sull’eredità di Papa Francesco, il dialogo tra Islam e Cristianesimo e le sfide del nostro tempo. L’intervista di Policy Maker
Yahya Pallavicini, imam e vicepresidente della Comunità Religiosa Islamica Italiana (COREIS), è una delle voci più autorevoli del dialogo interreligioso in Europa. In prima linea nei momenti chiave degli ultimi anni, ha incontrato più volte Papa Francesco in contesti di grande rilevanza simbolica e spirituale: da Gerusalemme ad Abu Dhabi, fino al recente Congresso delle Religioni Mondiali in Kazakhstan.
In questa intervista, Yahya Pallavicini riflette sul significato del pontificato di Francesco per le relazioni tra Islam e Cristianesimo, sull’eredità che lascia alla comunità internazionale e sui rischi che si corrono nel delicato passaggio verso una nuova guida della Chiesa, con un focus sul contributo delle fedi alla cura del creato, sulla responsabilità dei leader religiosi nei conflitti contemporanei e sul ruolo dell’Islam europeo nei processi di integrazione del continente.
Imam Yahya Pallavicini, lei ha incontrato più volte Papa Francesco. Qual è, dal suo punto di vista, il significato del suo pontificato nel dialogo tra Islam e Cristianesimo e quale la sua eredità? Cosa può essere smarrito di quanto è stato costruito e quali invece le prospettive in vista dell’elezione di un nuovo pontefice?
Ho incontrato Papa Francesco in Oriente, a Gerusalemme nel 2014, ad Abu Dhabi nel 2019 per la storica firma del Documento sulla Fratellanza umana e più recentemente in Kazakhstan per il Congresso delle Religioni Mondiali. Ho avuto maggiori occasioni di conversazione con Papa Francesco in Vaticano in udienze concesse a delegazioni di musulmani internazionali. In questi dodici anni la conoscenza e la fratellanza tra cristiani e musulmani si è molto sviluppata se pensiamo che abbiamo dovuto combattere insieme l’analfabetismo religioso, l’ignoranza sull’Islam e l’infiltrazione e la manipolazione ideologica dell’Islam da parte di alcuni gruppi di estremisti nati nel secolo scorso in opposizione al patrimonio tradizionale islamico e contro l’imperialismo occidentale.
L’azione di interpretare la vita e la Parola di Gesù da parte di Papa Francesco scongiurando un conflitto di religioni o di civiltà ma favorendo il dialogo tra religiosi e rappresentanti autentici delle culture in Occidente e in Oriente è stata una testimonianza di armonizzazione delle relazioni interreligiose e internazionali e un antidoto al disordine del terrorismo. Speriamo che questo sviluppo non vada perduto in una sciocca “guerra a pezzettini” tra suprematismi in concorrenza sleale tra di loro e nel vuoto di una classe di saggi.
Papa Francesco è stato anche un modello di distanza rispetto alla compromissione con il potere politico. Il percorso dei cattolici è in qualche modo un modello per le altre fedi?
Direi che secondo la visione del mondo musulmano Papa Francesco ha saputo interpretare una unità non confusa tra l’autorità spirituale e il ruolo di Capo di Stato Vaticano e ha saputo soprattutto comunicare una coerenza sui valori di giustizia senza privilegi personali o confessionali o culturali. Ha poi cercato di influire sulle politiche ambientali, finanziarie, sociali (povertà, immigrazione e rifugiati) e di sicurezza condannando con chiarezza il commercio degli armamenti e la crudeltà delle guerre.
L’impianto della Chiesa Cattolica come Stato e popolo dei credenti rende il Cristianesimo una eccezione mentre le altre confessioni religiose dovrebbero esprimersi in modo autonomo e trasversale rispetto alle politiche nazionali, sostenendo il processo di amministrazione del potere ma restando nella loro priorità di giurisdizione e servizio spirituale.
Con l’enciclica Laudato Si’, ha lanciato un forte appello per la cura della casa comune. Qual è la visione dell’Islam riguardo alla responsabilità ambientale e come vede questa convergenza tra le fedi sul tema ecologico?
Ho partecipato a tre edizioni di EXPO dedicate all’alimentazione (Milano 2015), all’energia (Astana 2017) e al pianeta (Dubai 2020) e a due sessioni di COP, la Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, a Dubai 2023 e a Baku 2024. Tavole rotonde interreligiose si sono articolate e hanno beneficiato anche di messaggi e interventi di Papa Francesco o di delegati della Santa Sede.
La responsabilità dei credenti sulla salvaguardia dell’ambiente è chiara ed è un campo dove anche il WEF World Economic Forum e il “Comitato delle Fedi in azione” intende approfondire il proprio contributo. Ho l’impressione che la potenza dei mercanti condizioni i governanti che non hanno il coraggio e la fede di dare priorità alla natura ma preferiscono amministrare compromessi.
Nel suo ultimo messaggio nel giorno di Pasqua ha ricordato la terribile situazione a Gaza che continua a essere tragica, con conseguenze umanitarie devastanti e profonde ferite nel cuore del Medio Oriente. Come guida spirituale, come interpreta questo messaggio? E cosa può fare il mondo religioso per contribuire concretamente alla pace?
I religiosi devono continuare a sostenere il ricordo di Dio e la speranza in una vita migliore per tutte le creature e a sensibilizzare i governanti ad una azione secondo giustizia. La cooperazione e il coordinamento locale tra autorità religiose non corrotte può essere strategica per evitare conflitti di polarizzazione tra elementi identitari che troppo spesso diventano ostaggio della propaganda dei guerriglieri e dei guerrafondai.
Almeno si tutela una dignità del ragionamento che non decade in impulsi infantili di forma violenta o in deliri di onnipotenza o in avidità territoriali. Per essere efficaci occorre anche preservare le dottrine dall’abuso delle interpretazioni per la guerra “santa” o per una “rivoluzione” che pretende solo demonizzare il nemico associato con un popolo o con una religione opposta alla propria. Bisogna lavorare sulla pacificazione interiore dei cuori e delle menti e accompagnare la realizzazione esteriore della pace, non come la dà il mondo.
Oggi assistiamo al desiderio di avvicinamento all’Unione Europea da parte di diversi Paesi dell’Est e del Sud-Est europeo, come Bosnia-Erzegovina, Albania e Kosovo, che hanno anche profonde radici islamiche. Come legge questa dinamica e quale contributo può dare l’Islam europeo in questo processo di integrazione?
La storia (e i drammi di Srebrenica!) dei musulmani in Bosnia e nei Balcani è un contributo importante anche a livello spirituale, politico e culturale per l’Europa anche se hanno sviluppato una identità che trae le sue origini da uno scenario collegato con il califfato Ottomano. L’Andalusia e la Sicilia islamica sono un altro aspetto storico, artistico e intellettuale che merita di essere approfondito, soprattutto per gli scambi tra saggi ebrei, cristiani e musulmani e per temi di sostegno alla fede e di illuminazione spirituale. Penso che l’Occidente e il continente europeo che non sempre coincidono con la rappresentanza politica dell’Unione Europea o con l’ideale dei suoi padri fondatori Adenauer, De Gasperi, Schuman, abbia bisogno di ricordare meglio le sue radici, partendo dalle riflessioni filosofiche sulle ragioni della vita e sulla natura dell’uomo e dell’universo.
Sono queste le “radici” che permettono di valutare il grado di “integrazione” e sviluppo dei cittadini europei. La dimenticanza o la negazione di questa prospettiva rischia di essere sostituita da una omologazione o da un multiculturalismo che assomigliano ad una idolatria tribale o ad un politeismo pagano. La reazione a questo rischio deve essere ricercata in una dimensione della cittadinanza europea che sappia servire la responsabilità della vita nella sua sacralità e profondità.