Forse, come scrive Luigi Bisignani sul Tempo, è “l’unica nomina che avrebbe meritato: senatore a vita”. Sta di fatto che questa mattina il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto al Quirinale il dottor Gianni Letta in occasione del suo novantesimo compleanno. Sui giornali sono diversi i profili, gli aneddoti e i racconti di chi l’ha conosciuto bene e chi lo ha osservato per anni.
BISIGNANI: “I GOVERNI PASSANO, LETTA RIMANE”
A partire proprio da Bisignani, il quale definisce Letta “una figura che, accanto a Silvio Berlusconi, ha scritto vent’anni di storia d’Italia”. Proprio il Cav, ricorda, “lo definì «un dono di Dio», altri lo chiamano «Sua Eminenza», ricordando che è anche Gentiluomo di Sua Santità. (…) Ha sempre volato alto, seppur ancorato alla concretezza della cultura dell’ascolto e del dialogo. Grazie a questa capacità e al suo forte carattere, è stato l’unico che le ha «cantate» al Cavaliere, come dopo il no alla bicamerale di D’Alema o al governo Maccanico”.
Mai lavorato meno di 15 ore al giorno, “la preparazione minuziosa dei suoi interventi – senza sbagliare una citazione o un congiuntivo – è leggenda, così come la sua memoria e la partecipazione alle Commemorazioni: una media di tre a settimana, da Guinness dei primati. Per Andreotti era anche il campione del mondo nella stesura dei necrologi. Riceve circa venti persone al giorno – per non più di otto minuti ciascuna. Facendo un rapido calcolo, solo negli ultimi vent’anni ne ha viste circa 175.000: praticamente tutti gli abitanti di Taranto”.
Fu scoperto da Renato Angiolillo al Tempo, dove ha trascorso “la prima vita: da redattore, direttore e amministratore, prima che un complessato figlio di Pesenti, alla morte del padre Carlo, decidesse di sostituirlo con l’insipido Gaspare Barbiellini Amidei, facendo così la fortuna del Messaggero. Ma fu anche la fortuna di Letta, che iniziò il sodalizio con Berlusconi con Italia Domanda, iI primo programma d’informazione politica delle reti Fininvest, diventando poi l’ambasciatore romano e in seguito il consigliere Prezioso: in famiglia, in azienda e per tre volte a Palazzo Chigi.
Attorno a Letta è cresciuta una generazione “di civil servant, ufficiali, monsignori, manager, giornalisti e funzionari che – pur di estrazioni politiche diverse hanno sempre fatto riferimento a lui nei momenti più critici: dal terremoto dell’Aquila alle guerre, fino ai delicati equilibri dell’intelligence”. Bisignani chiude con un aneddoto: “a chi gli ha chiesto perché non abbia mai voluto fare il ministro, ha risposto con una frase che è la sua essenza: “Il potere è quello che non si vede”.
CECCARELLI: “GIANNI LETTA IL GRAN CERIMONIERE DEL TEMPO CHE FU”
Per Filippo Ceccarelli su Repubblica, le parole che sintetizzano Gianni Letta sono: “discrezione, cautela, pazienza, garbo, in una parola l’arte antica e indispensabile della diplomazia”. Come Bisignani, anche lui si sofferma sulla “più infaticabile regolarità nel disbrigo delle pratiche, tra le 15 e le 16 ore di lavoro al dì tra scrivania, divanetti e ubiquità nel Palazzo, con appuntamenti vis-à-vis dalle ore 6 alle 21”. (…) “Tutto questo in buona sostanza ha concorso a fare del ‘dottor Letta’ il supremo metronomo, decoder nonché orafo di un potere che oggi è una roba da selvaggi”.
E ancora: “nomine degli Stati maggiori, unguenti da piazzare nel prontuario della Sanità, concorsi universitari, programmi televisivi, graduatorie, premi, alloggi, crostate e mediazioni istituzionali, rappacificazioni, prefazioni e presentazioni di persone e di libri”. Senza contare, aggiunge Ceccarelli, “lo zampino periodicamente inserito negli arcana imperii, ovvero maneggiando le faccende segrete del comando, vedi il ruolo svolto per cacciare volontarie e giornaliste fuori dall’inferno dell’Iraq”.
Gianni Letta “ha sempre e sistematicamente coperto” Berlusconi “in qualsiasi deprecabile impiccio e invereconda nequizia, magari in ultimo alzando gli occhi al cielo come chi si sentiva in dovere, più che consigliarlo, di proteggere il Cavaliere: ciò che fa la differenza fra un normale gregario e uno squisito maestro di palazzo e di curia”. “Per una vita intera Letta, ambasciatore di rango, ha cercato di placare gli animi e arrotondare gli spigoli con una dedizione che si rifletteva pure nei soprannomi – ‘Bon-bon’, ‘Delikatessen’, ‘Coccolino’” (…) La sua specialità “era avvicinare mondi, far conoscere di persona, spingendoli al dialogo, leader ‘nemici’, una sorta di surroga istituzionale che nell’era del tribalismo sembra più che inverosimile”. E quindi la riflessione finale di Ceccarelli: “cosa c’entra più il dottor Letta non tanto con l’improbabile premierato o lo sfuggente orgoglio italiano, ma con questa Italia aggressiva e semi-demente segnata dalla polarizzazione social?”.
ORRORI E AMORI DI GIULIANO FERRARA PER GIANNI LETTA
Per Giuliano Ferrara, che lavorò al fianco di Gianni Letta, “per diverso tempo In principio fu orrore puro” (…) “era il prototipo del brasseur d’affaires romano, dunque abruzzese di stirpe purissima, che detestava tutto quanto io amavo: il decisionismo, Craxi, la cultura comunista dura e scostante, il socialismo nazionale tricolore che sfidava i resti del comunismo con un gagliardo anticomunismo (…) Poi con Berlusconi e Confalonieri, che mi pagarono la stessa cifra di Agnes per fare una tv non di stato, piena di salumifici inserzionisti, una gioia modernista per un rompicoglioni come me, tutto cambiò radicalmente. Scoprii che Gianni Letta era sì un signore felpato disposto a tutti gli imbrogli e le mediazioni, al contrario di me che ero un ragazzone arruffato e iperdecisionista, altrettanto dedito al male ma senza l’ombra dell’ipocrisia e della buona educazione, due marchi di fabbrica del lettismo eterno, ma aveva molto da insegnarmi quando si arrivava al dunque”.
“Di sconsigli ne diedi tanti” chiosa Ferrara, “ma ora che ha novant’anni maestosi, devo dire che i consigli di Gianni Letta sono scolpiti nel marmo, quello stesso marmo su cui i miei sconsigli sono sempre scorsi come l’acqua. Auguri, Gianni. Giuliano Ferrara”.