Davanti ai dazi Usa ci vuole calma e gesso. La ricetta degli economisti (quasi tutti italiani) per rispondere alla politica commerciale aggressiva del presidente Trump
“Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. Per descrivere la reazione dell’Ue ai dazi imposti dall’amministrazione di Donald Trump si può utilizzare un verso della Divina Commedia.
Il documento, redatto dall’ufficio studi del Parlamento europeo, “Euro Area Risks Amid US Protectionism”, delinea la ricetta per cercare limitare le ripercussioni dei dazi e delle tariffe doganali imposte dalla nuova politica commerciale del tycoon.
GLI EFFETTI “MODERATAMENTE RECESSIVI” DEI DAZI USA SULLE ECONOMIE EUROPEE
Secondo gli autori dello studio, gli economisti Laura Bottazzi, Carlo Favero, Ruben Fernandez Fuertes, Francesco Giavazzi, Veronica Guerrieri, Guido Lorenzoni e Tommaso Monacelli, l’atteggiamento aggressivo dell’amministrazione Trump in materia di commercio non avrà un impatto altrettanto violento sulle economie europee.
“In uno scenario favorevole, i dazi statunitensi sulle esportazioni dell’UE esercitano effetti moderatamente recessivi sulle economie europee – scrivono gli economisti -. Tuttavia, questi effetti possono essere facilmente compensati da una risposta accomodante della Banca Centrale Europea (BCE) e da una svalutazione dell’euro”.
IL TIMORE DEGLI ECONOMISTI: IL “SECOND SHOCK CHINA”
Ripercussioni maggiori potrebbero arrivare da uno “shock Cina”, ovvero il riverbero delle restrizioni e dei dazi imposti alle merci cinesi sulle economie europee. “Questa preoccupazione deriva dalla nostra ipotesi di lavoro secondo cui le restrizioni commerciali statunitensi saranno complessivamente più severe nei confronti della Cina rispetto all’Europa, determinando così una ridistribuzione dell’eccesso di esportazioni cinesi verso i mercati europei – scrivono -. Tuttavia, il solido sistema di protezione sociale in Europa può attenuare le perturbazioni del mercato del lavoro, e una risposta politica mirata dell’UE sul fronte commerciale potrebbe contribuire a mitigare gli effetti più negativi”.
Alle ripercussioni sul mercato del lavoro si potrebbero sommare quelle sui tassi di cambio. “In particolare, per misurare gli effetti sul tasso di cambio, assumiamo un aumento medio dei dazi del 10% sui beni europei e del 20% sui beni cinesi – spiegano gli economisti -. Supponendo un apprezzamento compensativo del tasso di cambio reale pari al 50% dell’aumento dei dazi, questa politica determinerebbe un apprezzamento del dollaro del 5% rispetto all’euro e del 10% rispetto allo yuan cinese. L’euro si apprezzerebbe quindi del 5% rispetto allo yuan. Le evidenze empiriche suggeriscono che le variazioni dei tassi di cambio tendono ad avere un effetto attenuato sui prezzi relativi rispetto ai dazi ma il loro impatto è più ampio poiché si applica a tutti i beni e servizi, sia alle importazioni che alle esportazioni”.
DAZI USA: LE MISURE PER LIMITARE I DANNI
Elaborato il quadro delle ripercussioni attese, gli economisti passano a quello delle misure plausibili e più efficaci per limitare i danni.
Prima di tutto l’Ue dovrebbe evitare “una risposta eccessivamente restrittiva da parte della BCE motivata da preoccupazioni per l’inflazione importata” poiché “potrebbe portare a condizioni monetarie inutilmente rigide, aggravando il rallentamento economico” (che potrebbe essere inevitabile nello scenario del second “shock della Cina”).
DAZI USA: EVITARE LE RITORSIONI
Gli economisti mettono in guarda da “reazioni politiche eccessive” da parte delle istituzioni dell’UE “in particolare quelle che incidono sulle dinamiche dell’offerta” perché potrebbero trasformarsi in una cura peggiore del danno portando a “una contrazione della produzione potenziale nel medio periodo”. Lo studio approfondisce questo aspetto. “Due errori politici specifici si distinguono in questo contesto: imporre restrizioni alle aziende tecnologiche statunitensi nel tentativo di ritorsione per i dazi USA, il che rallenterebbe l’adozione tecnologica e la crescita della produttività in Europa; e impegnarsi in ampie misure protezionistiche di ritorsione, innescando una guerra commerciale globale che perturberebbe le importazioni di beni intermedi dell’UE e le catene di approvvigionamento globali”.
L’AUMENTO DEI COSTI PER I FINANZIAMENTI
Un’altra fonte di preoccupazione potrebbe arrivare dai “grandi deficit pubblici previsti negli Stati Uniti e gli effetti di ricaduta che potrebbero avere sulla politica fiscale in Europa”. Le preoccupazioni arrivano dall’aumento “dei premi per il rischio sugli obblighi di lungo termine statunitensi”, “sulla sostenibilità delle politiche fiscali degli Stati Uniti” che, a loro volta, potrebbero “portare a costi di finanziamento più elevati in Europa”. Un problema serio soprattutto se gli Stati europei dovessero avere bisogno di “espandere la spesa pubblica per migliorare la competitività e le capacità di difesa”. “Pertanto – continua lo studio del Parlamento europeo -, gli effetti indiretti delle politiche statunitensi sulle condizioni finanziarie europee devono essere considerati insieme agli impatti legati al commercio, rafforzando la necessità di strategie fiscali e monetarie coordinate”.
I DAZI USA AVRANNO UN IMPATTO GESTIBILE SULL’ECONOMIA EUROPEA
In definitiva l’impatto delle politiche protezionistiche statunitensi dovrebbe avere un impatto gestibile e moderato sull’economia europea “a condizione che vengano adottate risposte politiche adeguate”. Le istituzioni europee, avvertono gli economisti, devono mettersi al riparo da “errori politici inutili” e sfruttare “efficacemente gli strumenti macroeconomici”, un “fattore determinante per la resilienza economica di fronte alle crescenti tensioni commerciali globali”.