Il Manifesto di Ventotene viene tirato in ballo da Meloni durante le comunicazioni in Parlamento in vista del Consiglio Europeo del 20 e 21 marzo: tra le righe, accuse di eccessivo socialismo e antidemocrazia. Ira delle opposizioni, scoppia la bagarre in aula
A ciascuno la sua Europa. Meloni scatena il putiferio a Montecitorio scagliandosi contro il Manifesto di Ventotene, e poi va a pranzo da Mattarella con Tajani, che intanto si rifugia nell’Europa di De Gasperi, Adenauer e Schuman. Le opposizioni insorgono più o meno unite, tra chi difende la pietra angolare dell’europeismo e chi accusa la premier di apologia di fascismo.
COS’HA DETTO MELONI ALLA CAMERA
Il tema doveva essere il sostegno al piano di riarmo europeo (nel frattempo Salvini da Bruxelles faceva sapere che Meloni non ha mandato): quali strumenti finanziari utilizzare, quali gli aspetti critici.
Alla fine se n’è parlato poco. Meloni l’ha presa larga, appellandosi all’idea di un’Europa diversa da quella propugnata dagli europeisti ortodossi. E fin qui, nulla di nuovo: meno burocrazia, più libertà e più sovranità per i Paesi, compattezza per tutto l’Occidente, rispetto delle identità nazionali e un governo che non segue pedissequamente né gli Usa né l’Ue né, ma che sta con l’Italia.
Rispondendo ai rilievi sollevati dalle opposizioni, ha confermato il sostegno a Trump, “leader forte che può garantire pace giusta e duratura”in Ucraina, e annunciato una proposta allo studio con Giorgetti per un ReArm più sostenibile, “che ricalca l’Invest Eu, con garanzie europee per investimenti privati”.
Senonché l’intervento di Meloni diventa, sul finire, una tirata contro il Manifesto di Ventotene, molto citato nelle ultime manifestazioni di piazza pro-Europa. A sproposito, secondo la Premier, che si cura di riportarne alcuni stralci a suo dire esemplificativi.
SUL MANIFESTO DI VENTOTENE
Mentre la premier estrapola alcuni brani “a beneficio di chi ci guarda da casa e per chi non dovesse averlo mai letto”, l’iniziale brusio dell’aula si muta in aperto dissenso; quindi in urla dai banchi delle opposizioni, con richieste di inginocchiarsi davanti ai “padri di Ventotene”, accorati interventi e lacrime in difesa dell’Europa; fino alla decisione del Presidente della Camera Lorenzo Fontana di sospendere la seduta per arginare il caos.
Tra i passaggi del Manifesto selezionati da Meloni: “La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista”; “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso”; “Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente”; “Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni”; “La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria”.
La Premier ha anche sottolineato il riferimento alla “dittatura del partito rivoluzionario” come mezzo per realizzare il nuovo ordine sociale. Dopo aver letto questi brani, Meloni ha concluso il suo intervento: “Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia”.
CHE COS’È IL MANIFESTO DI VENTOTENE
Le opposizioni hanno criticato duramente l’intervento di Meloni, definendolo un atto grave nei confronti della storia e dei padri fondatori dell’Europa. In effetti, per parlare del Manifesto di Ventotene occorrerebbe quantomeno darne una cornice storica.
Il documento diventato una delle pietre angolari dell’integrazione europea fu scritto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e altri antifascisti confinati a Ventotene dal regime fascista.
Il testo proponeva un’Europa unita e federale come alternativa ai nazionalismi che avevano portato alla Seconda Guerra Mondiale, sottolineando la necessità di dotarsi di un’entità politica comune, capace di garantire pace, libertà, giustizia sociale e rispondere alle sfide della crescente internazionalizzazione. La sovranità nazionale, tanto cara ai Fratelli d’Italia, veniva considerata come la causa principale delle guerre.
Il Manifesto non si limitava a una visione istituzionale, ma proponeva anche un progetto fortemente orientato alla democrazia sociale, con riferimenti alla redistribuzione delle ricchezze, alla fine dei privilegi economici e alla costruzione di un sistema politico più equo.
Inizialmente strutturato in quattro capitoli, circolò clandestinamente fino al 1944, quando, a poco meno di un anno dalla sua morte per mano della milizia fascista, Eugenio Colorni ne curò una versione ridotta e rielaborata, riducendolo a tre capitoli.
Proprio a questo faticoso processo di continue stesure in condizioni difficili fa riferimento in una dichiarazione Federico Fornaro, deputato Pd, autore dell’intervento più appassionato in difesa del Manifesto e in risposta a Meloni. Fornaro, che è anche professore di storia, ricorda come nelle prime versioni del documento il “peso dell’elemento socialista” si sentisse “più forte”. Ma, aggiunge, viene ricordato “perchè nel 1941 mentre in Europa imperava il nazismo disegna l’Europa federale”.