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Silvia Albano

Chi è Silvia Albano, la giudice della sentenza sui migranti in Albania

Nello scontro con le toghe, nel  mirino del governo è finita la giudice Silvia Albano, presidente di Magistratura democratica. Ecco perché

“Scontro governo-toghe” (Corriere), “Meloni contro i giudici” (Repubblica), “I giudici aboliscono i confini” (Libero quotidiano), questi sono solo alcuni dei titoli odierni in rassegna stampa. La contestata sentenza della Sezione immigrazione del Tribunale di Roma, con la quale non è stato convalidato il trattenimento dei dodici migranti trasferiti nel centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader, ha suscitato la dura risposta della premier Giorgia Meloni e di tutta la maggioranza. Il governo è pronto a intervenire lunedì in Cdm per superare in qualche modo i paletti della sentenza.

CHI E’ LA GIUDICE SILVIA ALBANO

Ma chi è il giudice che ha firmato la sentenza? E’ Silvia Albano, 63 anni, padovana ma da tempo trasferita in Lazio e che, come scrive il Giornale “incarna due anime: fa il giudice alla sezione immigrazione del tribunale di Roma, ma è anche presidente nazionale di Magistratura democratica, la corrente delle toghe rosse. Nella sua attività sindacal-politica, la dottoressa si è sempre schierata con l’ala più radicale, tanto da fare parte del gruppo che ha guidato il distacco dal correntone di Area, accusato di non essere sufficientemente di sinistra”.

I quotidiani vicini al centrodestra oggi hanno fatto le pulci alla giudice Albano, che in questi anni è stata molto presente anche sui media rilasciando varie interviste, dal tema spinoso della riforma della giustizia, la separazione delle carriere, fino appunto al dossier caldo sui migranti.

LA DIFESA DI ALBANO DELLA GIUDICE APOSTOLICO

Come ricorda Rita Cavallaro sul Tempo, “la toga rossa numero uno ha infatti preso le difese della collega Iolanda Apostolico, la giudice di Catania che nel 2018 manifestava davanti alla nave Diciotti per i porti chiusi e che a ottobre scorso ha firmato una serie di provvedimenti di non convalida del trattenimento di alcuni clandestini nei centri per il rimpatrio, disapplicando così il Decreto migranti. Per Albano, di fronte a una questione pregiudiziale tra norme italiane ed europee, Apostolico «in quanto giudice di merito, aveva la facoltà, anzi il dovere, di disapplicare la norma interna», disse al manifesto”.

L’“AVVISO” AL GOVERNO IN UNA INTERVISTA A REPUBBLICA

Con riferimento poi all’accordo con Tirana, in un certo senso la giudice Albano aveva già messo in guardia il governo Meloni. «Immagino che ci sarà una pioggia di ricorsi su cui dovremo pronunciarci. E se non ci sarà una legge di ratifica che definisca le deroghe al quadro normativo nazionale previste da questo protocollo non potremo che prenderne atto», aveva dichiarato a Repubblica lo scorso 10 dicembre, sottolineando che, in ogni modo, «le variazioni di legge devono essere compatibili con le direttive europee» e che «l’extraterritorialità necessita di una legge, non si dichiara con un protocollo».

QUANDO LA GIUDICE ALBANO ANTICIPO’ “GLI EFFETTI DELL’ALLARGAMENTO DELL’ELENCO DEI ‘PAESI SICURI’”

Per capire meglio la genesi della sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma, con l’accusa di comportamento “pregiudiziale” mossa dal governo a Silvia Albano, può essere interessante anche leggere la nota che lo scorso 8 maggio diffuse la stessa presidente di Magistratura democratica. Ecco di seguito, integralmente:

“Come si legge nella nota “Il decreto Ministeriale è fonte normativa secondaria e deve rispettare tanto le fonti sovraordinate, come la Costituzione e la normativa della UE, quanto la legge ordinaria”; quindi “i giudici dovranno verificare se il Paese designato come sicuro con decreto ministeriale, possa essere effettivamente considerato tale in base a quanto stabilito dalla legge”.

Con il DM 7 maggio 2024 è stato allargato l’elenco dei Paesi sicuri a ulteriori Paesi, includendo così i Paesi di origine da cui proviene la maggioranza dei migranti. Attualmente l’elenco dei Paesi di origine sicuri è così composto: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Camerun, Capo Verde, Colombia, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Peru’, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. Rispetto al DM 17 marzo 2023 ove erano stati inseriti Paesi come la Nigeria e la Costa d’Avorio, sono stati aggiunti Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Peru’ e Sri Lanka. Forse la necessità del così ampio allargamento deriva dall’esigenza di attuare il protocollo con l’Albania, posto che potrebbero essere lì trattenuti solo i richiedenti asilo provenienti da Paesi di origine sicura.

Le conseguenze per i richiedenti asilo provenienti da un Paese incluso nella lista dei Paesi di origine sicura sono molto rilevanti in relazione alla possibilità di effettivamente far valere il proprio diritto di asilo, con una forte limitazione del diritto di difesa e del diritto a rimanere nel territorio dello stato fino all’esame completo della domanda, in deroga ai principi generali affermati nella direttiva UE e nella legge di recepimento della direttiva: si applicano procedure accelerate: tempi strettissimi per audizione e decisione della Commissione territoriale, tempi strettissimi per l’impugnazione del provvedimento di rigetto, mancanza di effetto sospensivo automatico dell’impugnazione del provvedimento di rigetto della Commissione territoriale.

Anche recentemente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ribadito (sentenza n. 11399/24): che il principio generale è la sospensione automatica dell’efficacia esecutiva del provvedimento della CT con la proposizione del ricorso, posta a garanzia della effettività della tutela; la natura di principio generale non può che richiedere la stretta osservanza della possibilità di azione delle deroghe; il giudice in adempimento del dovere di cooperazione istruttoria (art 8 co 3 del D.vo n. 25/2008 – si tratta di dovere inderogabile come più volte affermato dalla Corte di Giustizia) deve, tra l’altro, valutare la effettiva natura di Paese sicuro del Paese di provenienza del richiedente anche qualora il Paese sia inserito negli elenchi contenuti nei decreti ministeriali.

Il decreto Ministeriale è fonte normativa secondaria e deve rispettare tanto le fonti sovraordinate, come la Costituzione e la normativa della UE, quanto la legge ordinaria. È lo stesso art 38 della direttiva 2013/32/UE (nuova direttiva procedure) a prevedere la necessità di una verifica della effettiva sicurezza del Paese da parte dell’autorità giudiziaria sulla base dei criteri indicati nella norma. L’art 2 bis del D.lvo n. 25/2008, che costituisce attuazione della direttiva 2013/32/UE, stabilisce i criteri in base ai quali un Paese può essere inserito nell’elenco dei Paesi sicuri:

“2. Uno Stato non appartenente all’Unione europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione quali definiti dall’articolo 7 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone.

3. Ai fini della valutazione di cui al comma 2 si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui è offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante:
a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del Paese ed il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, aperto alla firma il 19 dicembre 1966, ratificato ai sensi della legge 25 ottobre 1977, n. 881, e nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 10 dicembre 1984, in particolare dei diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della predetta Convenzione europea; c) il rispetto del principio di cui all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà.”

I giudici dovranno, quindi, verificare se il Paese designato come sicuro con decreto ministeriale, possa essere effettivamente considerato tale in base a quanto stabilito dalla legge”.

Leggi anche: Migranti, a chi piace e a chi no in Ue il modello Albania

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