Intervista al prof. Carlo Curti Gialdino, già ordinario di diritto internazionale e dell’Unione europea dell’Università La Sapienza di Roma, sull’esito delle ultime elezioni europee e il valzer delle nomine in Europa
A circa due settimane dal voto europeo i leader e le delegazioni dei paesi membri stanno discutendo delle nomine dei top jobs di Bruxelles e Strasburgo. Accordi che, per quanto visto fino a oggi, tengono fuori la rappresentanza della maggioranza italiana, suscitando il fermo disappunto dell’esecutivo nazionale. Del resto, il voto delle ultime elezioni europee ha prodotto un Parlamento europeo con cambiamenti limitati rispetto all’Assemblea precedente. Il PPE è rimasto il primo partito, a cui seguono i socialisti. Il voto francese è stato cruciale perché da un lato ha fatto registrare ingenti perdite nel gruppo Renew a guida macroniana, dall’altro un incremento nel gruppo di Identità Democratica, il gruppo Salvini – Le Pen.
Di tutto questo e delle nomine europee ne abbiamo parlato con il prof. Carlo Curti Gialdino, già ordinario di diritto internazionale e dell’Unione europea dell’Università La Sapienza di Roma.
Si può riformare la ‘maggioranza Ursula’ che portò von der Leyen alla presidenza nel 2019?
Sul piano dei numeri sì, perché la maggioranza Ursula dispone di circa 400 voti mentre ne necessitano 361. Quindi, teoricamente sì ma bisognerà vedere al di là delle persone quale sarà il programma che presenterà von der Leyen, che sarà ovviamente diverso da quello che presentò nel 2019 e probabilmente anche diverso da quello che ha seguito per i 4/5 della legislatura perché nell’ultimo quinto della legislatura c’è stata una forte marcia indietro su alcune questioni. Penso, per esempio, alla rinuncia ad un certo ideologismo del Green deal o ai provvedimenti a favore degli agricoltori, dopo la loro protesta. Poi, in Francia bisogna vedere se, nelle imminenti elezioni legislative, si formerà quella sorta di “cordone sanitario” intorno al Rassemblement National che si è sempre verificato in passato.
Professore, secondo lei c’è un’alternativa alla guida della Commissione europea da parte di Ursula von der Leyen?
Una cosa mi sembra chiara: il Partito popolare europeo rivendicherà la Commissione europea e il Parlamento europeo, e questo a prescindere dai nomi. Le elezioni europee hanno registrato uno spostamento a destra in tanti Paesi, lo abbiamo avuto nei Paesi Bassi, è caduto il governo belga, Macron ha sciolto le camere. Però le forze a destra del PPE non credo siano in grado di avanzare una proposta condivisibile anche dal PPE. Venendo ai nomi per la Commissione, per un’alternativa a Ursula von der Leyen bisogna cercare sempre nel Partito Popolare europeo. Noi dobbiamo ricordarci che nel 2019 Ursula von der Leyen non era la prima scelta del Partito popolare europeo, la prima scelta era Manfred Weber, l’attuale presidente del Partito popolare europeo, che poi non passò e allora la cancelliera Merkel e Macron trovarono un accordo su von der Leyen, fino ad allora abbastanza sconosciuta. Quindi, venendo a oggi il prossimo Commissario sarà un esponente del Partito popolare europeo.
Chi può essere?
Qualcuno ha fatto il nome della Metsola, presidente uscente del Parlamento, ha alle spalle un paese piccolino, però abbiamo avuto tre presidenti della Commissione del Lussemburgo: Jacques Santer, Gaston Thorn e Jean-Claude Juncker. Quindi potrebbe essere Metsola, potrebbe essere il Primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis.
E se spostiamo lo sguardo all’Italia? C’è qualche nome papabile per la nomina in Commissione europea?
In Italia si era fatto anche il nome di Antonio Tajani, lui è un parlamentare europeo di lungo corso, è stato presidente del Parlamento europeo con una maggioranza Tajani, che è diversa dalla maggioranza Ursula, con i socialisti all’opposizione. Lui avrebbe tutte le carte a posto perché è stato un parlamentare europeo per molto tempo, è vicepresidente del PPE, ha presieduto molto efficacemente il Parlamento europeo dal gennaio del 2017 al luglio del 2019, essendone stato vicepresidente vicario dal 2014 al 2017, è stato commissario europeo ai trasporti dal 2008 al 2010 ed all’industria e l’imprenditoria dal 2010 al 2014, è stato Vicepresidente della Commissione europea nelle due commissioni europee successive presiedute da José Manuel Barroso, è il ministro degli Esteri italiano e vicepresidente del Consiglio, presiede Forza Italia, un partito in Italia che è andato bene alle elezioni, pochi lo credevano, ma è una forza tranquilla, si è fatto pure il suo nome. Però qui stiamo facendo speculazioni su ipotesi.
Come vede il nome di Mario Draghi per la Commissione europea?
È chiaro che Draghi ha un curriculum invidiabile. In una politicizzazione dei ruoli, vedere alla testa della Commissione un uomo che non appartiene a nessuna delle famiglie politiche europee è difficile. Mario Draghi è stato un tecnico puro alla testa della Banca centrale europea, perché le famiglie politiche non hanno quasi mai avuto voce in capitolo in un posto molto tecnico. Mi sembrerebbe strano un’ipotesi del genere ma resta un nome autorevolissimo.
Invece, per gli altri ruoli da assegnare. Cosa possiamo dire delle altre nomine in Europa?
C’è il posto di Presidente del Consiglio europeo e l’ha prenotato il Partito socialista europeo per l’ex Primo Ministro del Portogallo Antonio Costa. C’è il posto di Alto rappresentante per la politica estera di sicurezza, prenotato dai liberali per la premier estone Kallas. Un nome italiano per quel ruolo, come pure per quello del commissario che spetta all’Italia, potrebbe essere quello dell’ambasciatrice Elisabetta Belloni, che ha magistralmente coordinato il recente G7 in Puglia.
Il Presidente francese Macron è stato tra i più strenui sostenitori della politica estera e di difesa europea. Come cambia, se cambia, l’approccio a questo tema dopo lo scioglimento del Parlamento francese e l’indizione di nuove elezioni?
La politica di Difesa va realizzata nell’Unione europea, superando gli egoismi nazionale. Ciò sia che Macron superi l’azzardo da lui voluto nel lanciare le elezioni politiche sia che, all’esito, si ritrovi con un governo di coabitazione. In ogni caso Macron, finché non termina il suo mandato, detta la linea francese in materia di politica estera e di difesa, come prevede la Costituzione del 1958. Con una guerra in Ucraina, con la polveriera in Medio Oriente, io credo che l’Europa debba seriamente procedere sulla via della politica di difesa. Questo non significa un’alternativa alla Nato, non c’è un’alternativa in un contesto militare dove non siano preminenti le posizioni degli Stati Uniti. Però ci sono una serie di aspetti da valutare: i conflitti alle porte dell’Europa, la recrudescenza degli scontri in Medio Oriente dal 7 ottobre dell’anno scorso, la questione pandemica.
Si arriverà alla nomina di un Commissario per la difesa?
Non credo perché la difesa, allo stato, non è competenza della Commissione europea, è più che altro dell’Alto rappresentante della politica estera e della sicurezza. Poi è chiaro che l’Alto Rappresentante è anche vicepresidente della Commissione, in questo senso avrebbe una voce anche all’interno della Commissione. Ma quest’idea di Macron di un commissario alla difesa mi sembra di difficile realizzazione pratica.
Cosa servirebbe, invece?
Per realizzare una effettiva politica di difesa devono rafforzare il ruolo internazionale, la politica estera dell’Unione. Più è forte la competenza nazionale degli Stati membri, più debole è il riconoscimento di una competenza europea. Noi abbiamo acconsentito al finanziamento dell’acquisto di armi da mandare all’Ucraina, che poi è una partita di giro, gli Stati mandano queste armi e vengono rimborsati dal fondo che si chiama, ironia delle parole, “Facilitazione per la pace”. Adesso l’unico limite all’ingresso diretto nel conflitto russo-ucraino sono corpi di truppe che combattono, però ci sono già degli istruttori per l’uso di alcune armi molto tecnologiche, non solo in Polonia ma anche in Ucraina. Quindi sarebbe finalmente giunto il tempo che gli Stati membri decidessero di costruire una vera politica estera e di difesa europea e di conferire un ruolo maggiore all’Alto rappresentante per la politica estera. Molti ruoli, tuttavia, dipendono dalle persone che li incarnano. Quando, nel 1985, divenne presidente della Commissione Jacques Delors che pochi conoscevano, era ministro dell’economia in Francia, nessuno poteva immaginare che il periodo Delors sarebbe stato il periodo più fulgido nel processo di integrazione europea, però lui era capace, era una persona di grande lucidità e di straordinaria visione prospettica ed è riuscito a fare cose grandi. Magari si profilasse una personalità del genere tra i top jobs dell’Unione europea!