L’ex capo ufficio stampa di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi perplesso sulla linea del “cessate il fuoco” a Gaza, approvata in Parlamento con la mozione del Pd dopo la telefonata della premier con Elly Schlein
La notizia del giorno è senza dubbio quella che è stata definita dai giornali “l’appello bipartisan” del Parlamento italiano per “il cessate il fuoco a Gaza”, a seguito di una telefonata ieri tra la premier Meloni e la leader del Pd Elly Schlein.
Una notizia a cui i principali quotidiani dedicano i titoli di apertura, dal Corriere (“L’Italia a Israele, è l’ora di fermarsi. Passa il testo voluto dal Pd”) al Messaggero (“Asse Meloni-Schlein: appello di pace”), passando ovviamente per Repubblica, La Stampa e il Quotidiano nazionale.
PERCHE’ I GIORNALI DEGLI ANGELUCCI SNOBBANO IN APERTURA LA NOTIZIA DELLA TELEFONATA MELONI-SCHLEIN
Se si va però a spulciare i giornali di area centrodestra, del gruppo editoriale Angelucci, si nota che il titolo di apertura è dedicato a un altro tema, all’inchiesta sugli Agnelli: “Dubbi sulle firme e paradisi fiscali, le accuse ad Elkann” campeggia sul Giornale di Sallusti. La notizia dell’intesa sul cessate il fuoco a Gaza tra Meloni e Schlein viene relegata in alto. Poi l’editoriale di Filippo Facci sulla linea “due popoli, due Stati e un’unica strada”.
Il Tempo del direttore Davide Vecchi in prima pagina apre invece sul ddl Nordio che ieri ha avuto il via libera dal Senato. Di spalla poi un semplice richiamo alle prove di dialogo alla Camera sulle mozioni per Gaza e l’editoriale di Augusto Minzolini che, con un’analisi molto pertinente, mette in evidenza le divisioni tra le opposizioni sulle mozioni presentate in Parlamento su un tema così importante come la politica estera.
IL DIRETTORE DI LIBERO, EX COLLABORATORE DI MELONI, PERPLESSO SULLA LINEA DEL ‘CESSATE IL FUOCO’ A GAZA
Infine su Libero del direttore Mario Sechi, nonché ex capo ufficio stampa a Palazzo Chigi, non c’è traccia in prima pagina nei titoli o nei richiami dell’appello bipartisan, della telefonata tra la premier Meloni e Schlein. Il titolo di apertura, anche in questo caso, è riservato all’inchiesta sugli “Agnelli in paradiso (fiscale)”.
Anzi, tutt’altro. C’è infatti un editoriale firmato proprio da Sechi dal titolo ‘Gaza, c’è un errore: il cessate il fuoco’, in cui l’ex collaboratore di Giorgia Meloni appare alquanto critico sulla strada intrapresa dal Parlamento italiano nei confronti del conflitto a Gaza, ergo – se ne deduce – che il disappunto sia riferito anche alla mossa della premier di avviare questo dialogo con la leader del Pd. Le perplessità di Sechi, c’è da sottolineare, riguardano principalmente i contenuti e la linea adottata. Ecco alcuni passaggi dell’intervento del direttore di Libero:
“La sintesi politica – scrive Sechi – è questa: il Partito democratico ha presentato una mozione che è passata con il voto di Dem, Cinque Stelle e l’astensione del centrodestra. Il passaggio politico è stato siglato con un’intesa tra Giorgia Meloni e Elly Schlein, preceduto dalle dichiarazioni da “colomba” del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Il premier e il segretario del Pd hanno messo il sigillo su una posizione (che dovrebbe basarsi su dei principi non negoziabili, immagino) che ha come centro di gravità la salvaguardia dei civili a Gaza e Rafah”.
SECHI: “NON C’E’ PEGGIOR ERRORE DI UNA GUERRA NON FINITA”
L’iniziativa, spiega il direttore di Libero, “va inserita nello scenario di un pressing diplomatico, guidato dall’amministrazione Biden, sul governo israeliano e il suo primo ministro, Benjamin Netanyahu. E una linea “onusiana” che tende automaticamente a rimuovere la strage del 7 ottobre (e non a caso l’Onu fatica a ricordarla nei documenti ufficiali, perché è l’elemento scatenante della guerra), mette le belve di Hamas tra parentesi e si avventura in pericolose teorie sul “genocidio” dei palestinesi, una tesi vergognosa sul piano storico e del diritto”.
Qui adesso emerge il principale disappunto di Sechi: “A questo punto, bisogna chiedersi se sia davvero questa la via per “vincere la pace”, perché la storia è una foresta di pugnali, di nobili intenzioni che poi si rivelano tragici errori. E temo che il governo, la maggioranza, non abbiano pensato alle inattese conseguenze di una scelta che apre la porta come minimo del “giustificazionismo” ai nemici di Israele”.
E poi le riflessioni sul passo sbagliato. “Non c’è peggior errore di una guerra non finita. O conclusa (male) con le premesse per innescarne un’altra ancora più grande. (…) I conflitti – chiosa Sechi – sono orribili, in un mondo che si è illuso di poter cancellare il sacrificio e la morte, è tomato il Novecento di ferro e fuoco. E non sarà un voto in un Parlamento che cerca una pace in guanti bianchi a cancellare la realtà”.
IL PRESSING DIPLOMATICO USA E LO SFONDO DELLA CAMPAGNA ELETTORALE
Sechi fa riferimento al pressing diplomatico dell’amministrazione Biden sul premier Netanyahu – con riferimento alla dura reazione militare israeliana che sta incidendo sulla narrazione del conflitto a Gaza – e quindi implicitamente alla necessità di un allineamento di Roma con Washington e l’Ue.
Quello che però non può dire è quanto invece scrive Lina Palmerini sul Sole24Ore, ovvero sul “peso” che ha “l’orientamento e l’emotività popolare che si sono spostati sulla sorte dei civili palestinesi. Un sensore impossibile da ignorare in campagna elettorale. Basta pensare a cosa è stato Sanremo, alle frasi di Ghali sullo stop al genocidio, alla protesta dell’ambasciatore israeliano, alla correzione della Rai che ha ricordato come tutto sia iniziato quel 7 di ottobre. Insomma, se il conflitto arriva al Festival, vuol dire che non è più chiuso nel triangolo tra Palazzo Chigi, Parlamento e Farnesina e che il Governo deve battere un colpo. Come ha fatto ieri. Per la prima volta anche con la mano di Schlein”.