Nel 1994 il famoso video di Silvio Berlusconi che “cambiò la politica” e la staffetta sul premierato dal Cav a Meloni. I Graffi di Damato
Celebrati un po’ dappertutto, e giustamente, i 30 anni dalla chiusura della Dc disposta dal segretario Mino Martinazzoli “con un telegramma” – come a lungo Umberto Bossi gli rimproverò sarcasticamente, anziché ringraziarlo per i voti che liberò al Nord a vantaggio della sua Lega, e non del Partito Popolare riesumato dai libri di stori – non potevano mancare all’appuntamento celebrativo i 30 anni anch’essi trascorsi da “quel video di Berlusconi che cambiò la politica” – titolo della Repubblica di oggi – il 26 gennaio 1994.
Video registrato nel cantiere di ristrutturazione di una villa a Macherio acquistata da qualche anno e diffuso, tra l’edizione integrale di nove minuti e versioni ridotte, dai telegiornali privati e pubblici. E rimasto famoso per quella calza “ammorbidente” infilata sulla telecamera dall’operatore Roberto Gasparotti, oltre che per l’incipit dell’Italia “Paese che amo”, dove “ho le mie radici”, disse il Cavaliere.
IL VIDEO DI BERLUSCONI APRI’ LA STRADA AI BLOG DI GRILLO E ALLE DIRETTE FB DI SALVINI
Fu “la fine – ha scritto Stefano Cappellini, sempre su Repubblica – di ogni mediazione giornalistica e politica. Praticamente ciò che 30 anni dopo hanno fatto e fanno tutti: il blog di Grillo, i tweet di Renzi, le dirette facebook di Salvini, Giorgia Meloni che trasforma la seduta del Consiglio dei ministri in una puntata pilota di Casa Meloni e suona la campanellina a favore di telecamera, din don”.
Tutto vero. Fu anche questo, prima ancora dei risultati elettorali di marzo e dell’arrivo a sorpresa di Berlusconi a Palazzo Chigi, l’ingresso nella cosiddetta seconda Repubblica. Da dove si è già tentato di uscire più volte, ancora con lo stesso Berlusconi in vita, ma si riuscirà probabilmente solo se la Meloni ce la farà a cambiare la Costituzione con l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Diretta davvero, con la sorte delle Camere legata alla sua sopravvivenza politica, e non solo con l’espediente, tante volte raggirato negli anni scorsi, di stampare sulle schede elettorali il nome del candidato a Palazzo Chigi accanto ai simboli dei partiti o delle loro coalizioni concorrenti ai seggi di Montecitorio e del Senato.
L’ELEZIONE DIRETTA DEL PREMIER, LA STAFFETTA DA BERLUSCONI A MELONI
Quell’espediente è stato in qualche modo tollerato in ogni elezione dal presidente di turno al Quirinale, in grado poi di mandare a Palazzo Chigi durante la legislatura, o addirittura sin dall’inizio, tutt’altre persone, sostenute in Parlamento da tutt’altre maggioranze. Ciò accadde, per esempio, subito dopo le elezioni del 2013 con la formazione del governo di cosiddette “larghe intese” di Enrico Letta, dopo che Pier Luigi Bersani da segretario del Pd aveva cercato di forzare la mano a Giorgio Napolitano, sottrattovisi, con la formazione di un governo “di minoranza e di combattimento” appeso agli umori grillini.
L’elezione quasi diretta del presidente del Consiglio fu insomma un’incompiuta. La staffetta è passata, ora che Berlusconi non c’è più, alla Meloni con quella che lei chiama “la madre di tutte le riforme”, ora in commissione sotto la vigilanza del presidente del Senato Ignazio La Russa.