Skip to content

ex ilva

Che farà adesso il governo con l’ex Ilva?

Preoccupazioni e interrogativi si susseguono sul presente e sul futuro dell’ex Ilva dopo il tavolo saltato tra governo e ArcelorMittal. Ecco i vari scenari

La “fumata nera”, come ha titolato la Gazzetta del Mezzogiorno, tra governo e ArcelorMittal al termine del tavolo sull’ex Ilva porterà con sé strascichi per lungo tempo. Ci si interroga adesso su quale strategia adotterà il governo, con quali obiettivi, con scenari e ricostruzioni delineate dai vari quotidiani. Nel frattempo i sindacati sono stati convocati per giovedì pomeriggio alle ore 19.00.

E per l’Esecutivo, in assenza della premier Meloni che preferisce stare alla larga dal dossier, le prime dichiarazioni in chiaro sono del ministro per le Imprese e il Made in Italy Urso, anche lui al vertice ieri con il ceo di ArcelorMittal.

LA POSIZIONE DEL GOVERNO, LE CONVINZIONI DEL MINISTRO URSO

“Il Governo e quindi lo Stato è in campo, oggi più che mai, per salvare e rilanciare la siderurgia italiana, anche e soprattutto quella rappresentata dall’ex Ilva di Taranto, da quello che era il più grande sito siderurgico europeo”. Così Adolfo oggi Urso, spiegando che il governo interverrà per il polo siderurgico dopo la rottura con ArcelorMittal: “Certo che sì”, ha detto a margine di un evento.

“Il Governo è in campo – ha ribadito – con la ferma intenzione di rilanciare la siderurgia italiana. E’ in campo qui in Toscana, dove a breve annunceremo ulteriori investimenti nel sito siderurgico di Piombino; è in campo a Terni, dove entro poche settimane concluderemo l’accordo di programma per il rilancio di quel sito siderurgico; è in campo con le acciaierie del Nord che hanno aperto recentemente i nuovi stabilimenti produttivi green, anche con la partecipazione ovviamente delle risorse pubbliche; e in campo con Acciaierie d’Italia, cioè con l’ex Ilva, perché riprenderemo in mano la situazione dopo i disastri che sono stati realizzati dai governi precedenti, per fare di quel sito il più grande sito siderurgico green d’Europa. Noi siamo convinti di riuscirci”.

TENTAZIONE COMMISSARIAMENTO PER L’EX ILVA

In concreto, però, come si viene fuori da questo muro contro muro? E’ quello che si è chiesto il Corriere della Sera che, in un retroscena, delinea le “tre possibili via d’uscita”. La prima è che il governo proceda comunque con l’aumento di capitale «al buio», senza cambio di governance (tenendo presente che per il quorum deliberativo nell’assemblea straordinaria servono i 2/3 del capitale e non basta il 66%) per il quale aspetterebbe il fine mandato dell’attuale cda a maggio 2024 (quando scade anche il contratto di affitto degli impianti con Ilva in amministrazione straordinaria).

La seconda ipotesi è indennizzare ArcelorMittal per l’uscita dal capitale e ricercare un nuovo socio privato. La terza ipotesi è quella estrema, che prevede che un socio pubblico con almeno il 30% di una società strategica possa richiedere l’amministrazione straordinaria nel caso di stallo nelle decisioni aziendali. Una minaccia o una exit strategy quella del commissario? Il tempo lo dirà – ha sottolineato Borrillo sul Corriere della Sera – e non bisognerà aspettare molto: già oggi i legali di Invitalia e Mittal cominceranno a confrontarsi. E domani il Tar della Lombardia si pronuncerà sul taglio del gas dopo le bollette non pagate. La svolta potrebbe arrivare anche dall’esterno.

LO SCENARIO DELINEATO DAL SOLE24ORE

Per il Sole24Ore: “l’indisponibilità di Arcelor Mittal sugli ulteriori aumenti di capitale ha chiuso l’incontro e ora l’amministrazione straordinaria appare la strada più probabile, con correlato contenzioso legale sulle pendenze in essere. In teoria il governo può far leva su una norma del decreto Ilva di inizio 2023 che consente di attivare la procedura anche su istanza del socio pubblico, mentre un’alternativa tecnica è il ricorso alla composizione negoziata di crisi, strumento stragiudiziale che consente di attivare misure protettive del patrimonio per un determinato periodo di tempo. Il matrimonio, secondo alcune fonti di governo, si potrebbe sciogliere anche con la più radicale liquidazione volontaria dell’azienda e conseguente restituzione degli asset che tornerebbero nella piena disponibilità dello Stato. Un’ultima opzione, al momento puramente di scuola però, e un aumento di capitale chiamato al buio dal consiglio di amministrazione.

Uno snodo decisivo dell’intera vicenda è stata la riunione tra ministri che si è svolta a Palazzo Chigi prima di Natale (riferita a dicembre sempre dal giornale di Confindustria) da cui era emersa l’estrema difficoltà di arrivare a un accordo. Contemporaneamente il governo ha approfondito sondaggi con potenziali investitori privati, perché il disegno è comunque quello di una statalizzazione solo temporanea. Ci sono i nomi consueti. Come il cremonese Giovanni Arvedi. E c’è il gruppo ucraino Metinvest, che ha già investito in Piombino ma che potrebbe pensare anche a Taranto. Metinvest, che ha azzerato la sua produzione nel Paese origine per l’invasione russa, dispone di grande liquidità e ha la necessità di “acquisire” a fermo capacità produttiva”.

LE RIFLESSIONI DEL GIORNALISTA PAOLO BRICCO

Da evidenziare quanto scritto da Paolo Bricco, giornalista del Sole24Ore e storico dell’industria, specialista in economia e politica industriale, il quale in un commento avanza alcune riflessioni: “Il primo problema, adesso, è negoziale. L’unica cosa certa è che l’acciaio torna pubblico. Il tema è se la siderurgia di Stato delineerà i suoi contorni in maniera violenta, con amministrazione straordinaria e con causa miliardaria. Oppure se emergerà da una liquidazione volontaria non giudiziariamente bellicosa della società, con la restituzione degli impianti a Ilva in amministrazione straordinaria e qualche centinaio di milioni (sempre pubblici) ad Arcelor Mittal che, così, realizzerebbe il suo obiettivo strategico — evidente a tutti, tranne che al governo Meloni, a fari spenti nel buio della notte – di recuperare una parte del miliardo che finora ha perso”.

“Il secondo problema – scrive Bricco – riguarda la gestione di una società come Acciaierie d’Italia che si trova con due soci alla rottura irreversibile. Il tema del rischio dell’abbandono a sé stessa di una impresa esiste. (…) Bisogna essere onesti. Non c’è una mente strategica sull’acciaio italiano paragonabile a Oscar Sinigaglia. E nemmeno ci sono dei nuovi Sergio Noce e Giovanni Gambardella, per citare due carismatici dirigenti industriali pubblici di altoforno. Ci sono però molti italiani che operano a buoni livelli nella siderurgia e dell’elettro siderurgia internazionale. E vanno coinvolti. (…)”

“Arcelor Mittal  – conclude il giornalista – ha ritirato nel 2019 il suo management straniero e ha deconsolidato Acciaierie d’Italia dal suo bilancio, facendone una triste monade senza collegamenti vitali con il suo poderoso organismo di secondo gruppo al mondo. Lo avevano capito in tanti. Ora lo ha capito anche il Governo. Si entra in una nuova fase. Sarà tutto difficile. Ma la sfida va affrontata. Il futuro del Paese passa da Taranto”.

Leggi anche: Perché la premier non mette la faccia sul dossier ex Ilva

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Torna su