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Cosa ci dev’essere nel nuovo Patto di Stabilità secondo Giorgetti

Che cosa ha detto in audizione alle commissioni Bilancio delle due Camere il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti

Se ne parla da settimane, da mesi. Dopo l’emergenza pandemica da Coronavirus e la crisi acuita dalla guerra russo-ucraina, anche le nuove tensioni in Medio Oriente stanno contribuendo ad aumentare i dubbi sulla opportunità di tornare alle vecchie regole europee in materia fiscale. Quelle più rigide. Oggi ne ha parlato in audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

VERSO UN NUOVO PATTO DI STABILITA’ EUROPEO, QUALE?

Parlando all’Ecofin di metà ottobre a Lussemburgo, il capo del dicastero di via XX settembre aveva detto che “gli investimenti e le spese legate alle priorità europee, inclusa la difesa, sono obiettivi politici strategici che le nostre regole fiscali non possono ignorare. Ciò è anche vero negli impegni assunti nei Piani di ripresa e resilienza: gli Stati membri devono essere messi nella posizione di poter realizzare le misure concordate”.

Una cautela mostrata anche dall’omologo francese Bruno Le Maire. La mia proposta è di concentrarsi sulla questione della sostenibilità del debito prendendo in considerazione la situazione dei differenti Stati membri”, diceva, condividendo l’idea “di ridurlo gradualmente” concentrandosi poi su altri argomenti come la riduzione del deficit. Anche il Commissario all’Economia, nonché ex premier italiano, Paolo Gentiloni non ha mai escluso aperture a discutere di un nuovo patto, diverso da quello che più o meno tutti vogliono tornare a “subire”. Anche la riunione di inizio novembre faceva pensare al meglio, in questo senso, ma tutto rimane ancora nelle intenzioni e non nei fatti. Entro fine anno si deve arrivare a dama, cioè a un accordo. Fra tre giorni ci sarà il nuovo Ecofin, la prossima settimana l’ultimo Consiglio Ue pre-Natale.

LE PAROLE DI GIORGETTI IN AUDIZIONE

Se prima della riunione del mese scorso un alto funzionario europeo chiariva che il collegamento tra Mes e patto di stabilità era soltanto politico e apparteneva al dibattito italiano, mentre non c’era (e non esiste) a livello tecnico, oggi delle due questioni – appunto – è tornato a parlarne Giorgetti alle due commissioni Bilancio del Parlamento.

“La previsione di ulteriori vincoli rispetto a quanto proposto dalla Commissione potrebbe portare a un esito non pienamente conforme agli obiettivi della riforma così come delineati a partire dalla Comunicazione della Commissione stessa: vale a dire un assetto caratterizzato da semplicità e da un maggiore equilibrio tra gli obiettivi di crescita economica, di promozione della transizione ecologica e digitale, nonché di sostenibilità del debito pubblico”, ha detto stamani il capo economico del governo italiano, sancendo la priorità da dare agli investimenti, nonché il carattere di “mezzo” e non di “fine” di queste regole. I nuovi accordi dovranno portare a paletti meno stringenti e non più rigidi di prima, senza prevalere “sulla regola di spesa”.

Negli scorsi mesi – ha ricordato – le proposte per la riforma del Patto Ue “hanno alimentato un intenso negoziato tra gli Stati membri, tenuto sia nell’ambito delle sedi istituzionali europee sia attraverso incontri bilaterali, negoziato che è ancora in corso e che non ha finora portato alla definizione di un quadro condiviso”. Infatti, serve “l’unanimità per quanto riguarda il braccio correttivo e una maggioranza qualificata per quello preventivo. Non potendosi tuttavia immaginare la revisione dell’uno senza quella dell’altro, è di fatto richiesta l’unanimità tra gli Stati membri”.

LE NUOVE REGOLE SECONDO GIORGETTI

Quale patto, allora? Giorgetti ha confermato la necessità di un percorso di aggiustamento che “potrà essere più graduale e prolungato nel tempo se accompagnato da un impegno dello Stato membro a realizzare investimenti e riforme ambiziosi, che contribuiscano a innalzare la crescita potenziale e migliorare la sostenibilità del debito pubblico. In questo caso la durata del periodo di aggiustamento può essere estesa fino a 7 anni”. E ha quindi ricordato che “dopo l’approvazione del Consiglio, i Piani non potranno essere, di norma, modificati”. In generale i Piani durano quattro o cinque anni. E allora: “L’aggiustamento di bilancio minimo
richiesto agli Stati membri con deficit superiori al 3 per cento del Pil sarà pari allo 0,5 per cento del Pil, in termini strutturali, finché l’eccesso di disavanzo non sarà assorbito”.

“La sorveglianza, che si baserà sulle relazioni sullo stato di avanzamento dei Piani nazionali presentate annualmente dagli Stati membri, andrà a valutare la congruità dell’andamento della “spesa primaria netta” effettiva con i Piani approvati. Gli eventuali scostamenti dell’aggregato di riferimento rispetto ai Piani concordati saranno registrati in un apposito conto di controllo”.

MES RINVIATO AL PARLAMENTO

Giorgetti ha quindi toccato anche la questione Mes. “Sarà il Parlamento a dire se quell’accordo negoziato dal governo italiano all’epoca sia da approvare o no”, ha detto. “Quello sottoposto al Parlamento non è il salva-Stati, semmai è il salva-banche. Noi non abbiamo mai ricattato nessuno, noi non ricattiamo nessuno”, ha aggiunto il ministro, confermando la tesi Ue di novembre scorso, sopra ricordata: “Che una correlazione tra Mes e Patto di stabilità ci sia sta nei fatti”. Ma solo quelli italiani, evidentemente, perché Bruxelles non evidenzia questo legame.

 

 

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