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Dopo Cassazione e Cnel, cosa farà la maggioranza sul salario minimo?

Dopo il documento conclusivo del Cnel, sul salario minimo adesso la palla passa alla maggioranza del governo Meloni che deve decidere cosa fare

Due sentenze della Cassazione e due documenti (confluiti poi in uno unico complessivo) del Cnel: nell’ultima settimana il dossier sul salario minimo legale è stato al centro di alcuni importanti provvedimenti, mentre la politica osserva e litiga.

Per la Cassazione la retribuzione deve essere proporzionata e sufficiente, come prevede la Costituzione, con gli stessi giudici che possono stabilire il salario minimo. Il Cnel invece ha sostanzialmente confermato la bocciatura del salario minimo, ravvisando la necessità di uno sviluppo della contrattazione collettiva.

Su un aspetto la Corte di Cassazione e il Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro sembra si siano trovati d’accordo: alla fine deve essere il legislatore ad assumersi la responsabilità politica delle decisioni.
Lo scorso 11 agosto la premier Giorgia Meloni ha formulato al Cnel la richiesta di redigere entro 60 giorni un documento di osservazioni e proposte in materia di salario minimo in vista della prossima legge di bilancio. Il documento c’è e sarà sottoposto all’approvazione dell’Assemblea del Cnel il 12 ottobre. Ad oggi ha votato contro la Cgil mentre la Uil si è astenuta.

Dopo di che il prossimo 17 ottobre approderà comunque in Aula alla Camera la proposta di legge sul salario minimo presentata dalle opposizioni. Quella potrebbe essere la prima occasione per i partiti di maggioranza per scoprire le carte. Esponenti delle forze politiche che sostengono il governo affermano che è al vaglio la possibilità di intervenire “con delle proposte di maggioranza” che “non siano il salario minimo garantito” tout court “ma sulla base dei rilievi forniti dal Cnel”.

Senonché è molto probabile – timore esplicitato dall’opposizione – che “la maggioranza approfitterà di questo parere del Cnel per chiedere un ritorno della legge in commissione: un modo per allungare ancora i tempi, visto che stiamo entrando nella sessione di bilancio”.

PER LA CASSAZIONE I GIUDICI POSSONO STABILIRE IL SALARIO MINIMO

Con due sentenze della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione pubblicate il 2 ottobre 2023 (n. 27711 e n. 27769), è stato stabilito che “la magistratura – spiega il sito lavoce.info – si assuma il compito di determinare direttamente la giusta retribuzione, evidenziando l’urgenza di istituire per legge uno standard minimo universale, che tenga conto delle differenze del costo della vita”.

In sostanza, il salario minimo costituzionale può essere fissato dal giudice in modo che sia proporzionato e sufficiente a garantire gli standard minimo di legge. Il giudice, inoltre, deve in via preliminare fare riferimento alla contrattazione nazionale di categoria, dalla quale però può “motivatamente discostarsi” se questa è in contrasto con il principio di proporzionalità e sufficienza fissati dalla Costituzione.

“La svolta giurisprudenziale – argomenta il giuslavorista Pietro Ichino – va oltre i limiti della denuncia di un ritardo del legislatore; nelle due sentenze della Cassazione si afferma che il controllo da parte del giudice sui livelli retributivi non si estende soltanto ai contenuti della contrattazione collettiva, bensì anche ai contenuti delle leggi ordinarie che regolano la materia (come accade nel caso delle cooperative di lavoro). (…) La determinazione degli standard retributivi “giusti” verrebbe in questo modo sottratta non solo alla contrattazione collettiva, ma anche allo stesso legislatore, per essere affidata alle sensibilità dei singoli magistrati, assai differenti tra loro anche all’interno di uno stesso ufficio giudiziario. Con la conseguenza di un’enorme dilatazione dell’alea dei giudizi”.

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Per questo per Ichino la situazione consiglierebbe “al Governo di porre mano con urgenza a due interventi che appaiono indispensabili per rimettere in piedi un sistema delle relazioni industriali efficiente, capace di governare in modo ordinato gli standard retributivi minimi anche in ottemperanza alla direttiva Ue n. 2022/2041 sulla materia”.

Il primo finalizzato a risolvere l’annosa questione dell’efficacia generale dei contratti collettivi nazionali e dei possibili conflitti fra di essi. Il secondo “volto a istituire uno standard retributivo orario minimo universale, questo sì destinato a realizzare il bilanciamento migliore tra il valore della piena occupazione e quello del necessario sostegno ai livelli salariali più bassi”. Sottolineando “la necessità che nella determinazione dello standard minimo si tenga conto delle condizioni particolari di ciascuna zona, di ciascun contesto: ciò che significa tenere conto anche del potere d’acquisto effettivo della moneta, assai diverso tra regione e regione, ma anche tra zone metropolitane e zone circostanti”.

DAL CNEL BOCCIATURA: “SOGLIE BASE DA TROVARE CON I CONTRATTI COLLETTIVI”

La conferma della bocciatura del salario minimo da parte del Cnel presieduto da Renato Brunetta arriva nel documento conclusivo della “commissione d’informazione” pubblicato domenica sera sul sito del Consiglio contenente le osservazioni finali e le proposte. Prima viene ribadito che “il salario minimo costituisce solo una componente all’interno di un ragionamento più ampio fondato sul principio di adeguatezza”. E si sottolinea che “il Cnel suggerisce di evitare che la questione dei salari minimi adeguati entri a pieno titolo nel vortice della comunicazione politica, in chiave di acquisizione del consenso”.

Il percorso suggerito è quello di “valorizzare – si legge nel testo – la via tradizionale della contrattazione collettiva, quale sede storica per eccellenza della dialettica tra istanze economiche e sociali”. La contrattazione, però, ha “aree di criticità”, dai ritardi nei rinnovi al numero eccessivo di contratti nazionali collettivi, scrivono i consiglieri. Per questo ravvisano “l’opportunità e l’urgenza di un piano di azione nazionale affidato al Cnel, a sostegno, anche con proposte di legge, di un ordinato e armonico sviluppo del sistema della contrattazione collettiva”, e propongono “una esatta fotografia della contrattazione nazionale di categoria”. Per quanto riguarda il lavoro povero, si dovrebbe intervenire con “misure di contrasto ad hoc”.

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