Skip to content

Operazione Sophia

Migranti e “Operazione Sophia”, ecco qual è la proposta a cui pensa il governo

Estendere “la sorveglianza aerea e navale” nel Mediterraneo: il governo italiano pensa a una nuova ‘Operazione Sophia’ per arginare la partenza dei migranti

La visita di Giorgia Meloni a Lampedusa con Ursula von der Leyen, per fare il punto sull’ondata di migranti in arrivo sulle coste italiane, ha acceso i riflettori sulla possibilità di una nuova ‘Operazione Sophia’. E’ stata la stessa premier italiana a sostenere che serve “ripartire dalla seconda e terza parte della missione Sophia, che non fu mai realizzata perché nella prima parte si rivelò una sorta di pull factor”, provando a dare così un perimetro più definito all’annuncio della presidente della Commissione europea sulla necessità di estendere “la sorveglianza aerea e navale” nel Mediterraneo, partendo da Frontex.

È questo uno dei punti nodali del piano in dieci azioni lanciato dalla presidente von der Leyen. Un’apertura “importantissima” hanno lasciato trapelare fonti di Fratelli d’Italia, secondo cui si tratterebbe “di una missione navale europea per contrastare le partenze illegali e i trafficanti di esseri umani”. Proposta che dovrebbe essere formalizzata da Giorgia Meloni al prossimo Consiglio europeo informale di ottobre.

Ma in cosa consiste l’operazione Sophia e come si attua? Sono interrogativi non secondari, per capirne la reale fattibilità e funzionalità all’obiettivo di limitare le partenze dal Nord Africa.
Come ormai da dieci anni a questa parte, infatti, tutte le buone intenzioni dell’Italia e dell’Ue si sono contraddistinte per avere il fiato corto. Ricordiamo ancora quando dopo il naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 l’allora ministro Angelino Alfano reclamò l’aiuto dell’Unione europea che portò prima all’operazione Mare Nostrum e dopo all’operazione Triton: salutate come la dimostrazione che, finalmente, l’Italia poteva contare sull’Europa, entrambe le missioni si conclusero senza particolari rimpianti.

COS’È L’OPERAZIONE SOPHIA

L’Eunavfor Med – operation Sophia, avviata nel giugno 2015, è stata la prima operazione militare di sicurezza marittima europea nel Mediterraneo centrale. La missione aveva quale scopo principale il contrasto al traffico illecito di esseri umani (quindi non era una missione di soccorso) e s’inquadrava nel più ampio impegno dell’UE volto ad assicurare il ritorno della stabilità e della sicurezza in Libia. La guida dell’operazione era affidata all’Italia, il comandante era l’ammiraglio Enrico Credendino.

L’operazione era suddivisa in quattro fasi. In particolare durante la Fase Due gli assetti della Task Force avrebbero dovuto “procedere, nel rispetto del diritto internazionale, a fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti di imbarcazioni sospettate di essere usate per il traffico o la tratta di esseri umani. Questa fase è stata a sua volta suddivisa in una fase in alto mare ed una in acque territoriali libiche” che – secondo le ‘regole d’ingaggio’ – avrebbe dovuto “iniziare a seguito di una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dell’invito del relativo Stato costiero”.

La Fase 3 prevedeva di “neutralizzare le imbarcazioni e le strutture logistiche usate dai contrabbandieri e trafficanti sia in mare che a terra” e – nota di rilievo – anche questa fase necessitava del consenso e cooperazione “da parte del corrispondente Stato costiero”.

TUTTE LE DIFFICOLTÀ DELL’OPERAZIONE SOPHIA

Formalmente l’operazione si concluse il 31 marzo 2020, decisione assunta dal Consiglio dell’Unione europea e quindi dai rappresentanti dei governi dei singoli Stati. Politicamente, però, la pietra tombale sulla missione fu posta dall’allora ministro dell’Interno Salvini, perché si sosteneva che le navi della Task Force svolgessero ormai solo attività di soccorso, facendo poi approdare tutti i migranti in Italia. “In passato – ha sottolineato ieri la stessa Giorgia Meloni – sono state fatte delle missioni navali europee che hanno avuto il limite di rappresentare più un pull factor, un elemento di spinta per flussi migratori piuttosto che di blocco”.

La prima difficoltà nel ripristinare ‘Sophia’, o una missione analoga, risiede proprio nel fatto che la scelta non rientra nella disponibilità della Commissione europea, ma dei singoli governi. ‘Von der Leyen – come scrive oggi Repubblica – dovrebbe prima raggiungere l’accordo con i 27 esecutivi per arrivare a una conclusione. L’argomento, però, a otto mesi dalle elezioni europee rischia di convincere pochi alleati’. In secondo luogo i tempi: ‘servono almeno sei mesi – si legge ancora sul quotidiano – per rimettere in piedi la flotta che ha agito fino a tre anni fa e attribuirle il compito di realizzare la cosiddetta terza fase’, nel frattempo però i migranti continuano ad arrivare.

LA FASE 3 DELLA MISSIONE E IL RUOLO DELLA TUNISIA

Infine la Fase 3. Come già scritto, questa fase prevedeva – nel 2019 – il “consenso e cooperazione da parte del corrispondente Stato costiero”, ovvero la Libia. Bisognava recarsi nel territorio libico per ‘neutralizzare le imbarcazioni e le strutture logistiche usate dai contrabbandieri e trafficanti sia in mare che a terra’. La Libia però, come ricorda oggi David Carretta sul Foglio, ‘rifiutò quella che considerava una violazione inaccettabile della sua sovranità’.

È questo il nodo intorno al quale rischia di arenarsi qualsiasi tentativo di successo di fermare le partenze di migranti nel Mediterraneo. Anche oggi, dunque, servirebbe chiedere di far entrare le navi della missione europea nelle proprie acque territoriali ai paesi del Nord Africa e, tra questi, al presidente tunisino Kais Saied, proprio colui che viene accusato di non rispettare il recente memorandum sottoscritto tra Tunisia e Ue. Se queste sono le premesse, non c’è da ben sperare.

Leggi anche: Migranti, ecco perché Giorgia Meloni dovrebbe guardare l’esempio tedesco

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Torna su