Skip to content

berlusconi

“Silvio Berlusconi: prima la realtà poi la comunicazione. Così si vince”. Parla Antonio Palmieri

L’onorevole Antonio Palmieri ci racconta Silvio Berlusconi: un comunicatore che anteponeva la realtà alle tecniche di comunicazione 

Imprenditore di indiscusso successo. Affabulatore e seduttore seriale. Fondatore del bipolarismo politico e padre nobile del centrodestra italiano. Primo rappresentante, tanto amato quanto odiato, della seconda Repubblica.

Ieri mattina il Presidente Silvio Berlusconi è morto nel corso di un ricovero all’Ospedale San Raffaele. Berlusconi è stato l’uomo italiano del ‘900 che, più di ogni altro, ha saputo lasciare la sua firma in tutti gli ambiti in cui si è cimentato: dall’economia, alla politica, allo sport, alla comunicazione. Capace di grandi vittorie e di rovinose sconfitte, ha interpretato con le vicende della sua vita il mito dell’eroe che cade e si rialza, dell’homo faber che sa plasmare la realtà attraverso le sue azioni.

Tra i numerosi campi nei quali è riuscito a imporsi come un elemento di cesura, segnando un prima e un dopo la sua comparsa, c’è quello della comunicazione politica.

Ne abbiamo parlato con l’onorevole Antonio Palmieri, strettissimo collaboratore del Presidente Berlusconi sin dalla discesa in campo del 1993, e deputato di Forza Italia per cinque legislature.

Il Presidente Silvio Berlusconi ha inventato un nuovo modo di comunicare in politica. Lei ha collaborato con lui sin dall’inizio. Ci racconta com’è iniziato tutto?

La premesse sulla quale cui nessuno può essere in disaccordo è che Berlusconi ha stravolto il modo di fare comunicazione politica in Italia. E lo ha fatto partendo da un presupposto fondamentale: la realtà viene prima della comunicazione. Questo vuol dire, in primo luogo, sapere interpretare la legge elettorale. Perché le regole del gioco determinano come devi giocare la partita. Da lì deriva la costruzione centrodestra.

E poi?

E poi il Presidente ha fatto uso di un linguaggio nuovo per l’Italia che è un linguaggio chiaro, semplice e diretto e concreto. Era l’antitesi rispetto al linguaggio autoreferenziale, e per certi versi oscuro, della politica italiana, di tutti i partiti. L’uso di questo linguaggio metteva Berlusconi in sintonia con i cittadini, perché capivano quello che diceva, capivano cosa volesse fare. Oltre a questo, dobbiamo ricordare che noi, in ogni campagna elettorale, abbiamo scelto pochi temi, al massimo cinque. Pochi temi, diciamo così, di valore universale come tasse, burocrazia, sicurezza. E su questi facevamo delle proposte specifiche e comprensibili a tutti. Che poi abbiamo declinato utilizzando, nel corso del tempo, tutti gli strumenti di comunicazione che le leggi elettorali consentivano di usare, quindi i manifesti, gli spot e quando, sono stati consentiti, gli strumenti di direct marketing, Internet già alla fine del ’94, le convention, la nave azzurra nelle elezioni regionali del 2000, il libro della storia italiana inviato in tutte per le politiche del 2001. Insomma, utilizzando tutti gli strumenti a disposizione che però erano sempre a servizio di questa impostazione: un linguaggio chiaro e semplice, diretto, concreto, e pochi punti di programma sui temi universali che chiunque potesse capire.

Dal punto di vista della comunicazione qual è lascito maggiore del Presidente Berlusconi?

Sono due. Il primo è una postura che lo mette non sul piedistallo a fare la morale agli italiani su come devono essere, come devono comportarsi ma al rovescio, è stato capace di approfondire e parlare dei problemi che toccano tutti. Il secondo lascito è l’uso di un linguaggio più chiaro, semplice e il più diretto possibile. Il che non vuol dire essere banali. Perché quando noi scrivevamo sui manifesti “Meno tasse per tutti” questo era solo uno slogan accompagnato da una parte del programma che spiegava come si sarebbe arrivati a “Meno tasse per tutti”. Lo stesso per la sicurezza, e per tutti gli altri ambiti. Questo è l’altro, l’altro aspetto che spero possa restare.

Come valuta la comunicazione del Presidente Berlusconi sui social network sui quali era approdato negli ultimi anni?

Parlano i numeri. La differenza tra un leader e un follower è che, fatte salve le regole della grammatica del mezzo, perché su Tik Tok non puoi fare un comizio di 90 minuti, un leader è tale proprio perché non segue la modalità consueta dell’utilizzo di uno strumento ma propone sé stesso. Berlusconi ha sempre proposto sé stesso. Perché era, diciamo, consistente, ecco.

Secondo lei in termini politici qual è stato il lascito più grande del Presidente Silvio Berlusconi alla storia del nostro Paese?

Ne lascia due. Il primo è la creazione del centrodestra e l’essersi speso per tutta la sua vita politica per tenerla insieme. E questo nasce da una convinzione culturale e dal fatto che, essendo un uomo attaccato alla realtà, interpretava le leggi elettorali. Per cui la legge elettorale vigenti, dal 1994 a oggi, imponevano la presenza di una coalizione coese, nei limiti del possibile, e di un programma unico. Il secondo punto è l’aver portato sulla scena politica il principio di sussidiarietà come bussola che orienta le scelte politiche. Cioè Berlusconi ha avuto il merito di introdurre e diffondere l’idea di limitare l’invadenza dello Stato, privilegiando il singolo. Come a dire: lo Stato non viene prima, viene dopo cittadini. E il compito dello Stato è essere al servizio dei singoli, delle famiglie, delle imprese profit e non profit, affinché ciascuno possa esplicare il proprio potenziale, dando libertà di azione ai cittadini. Questo è un lascito che io spero il centrodestra, non voglia disperdere perché l’alternativa è lo statalismo. Poi nell’attività di governo a volte è riuscito bene, a volte meno bene, ma questo fa parte delle cose umane.

Secondo lei, nel corso delle sue numerose attività, il Presente Silvio Berlusconi è stato più amato o odiato?

L’uno e l’altro. Per usare un termine che va di moda oggi il presidente è stato disruptive in tutti gli ambiti in cui è arrivato. A partire dall’edilizia, al calcio, alla grande distribuzione, all’editoria e poi le televisioni, la politica, la comunicazione politica. Nel momento in cui il Presidente si è proposto come radicalmente nuovo, chi apprezzava il cambiamento è stato con lui, in linea generale, chi, invece, dal cambiamento ha avuto dei danni oppure, semplicemente, si è arroccato su posizioni difensiva, gli ha fatto la guerra. Poi, a maggior ragione in politica avendo lui creato il bipolarismo è evidente che, per forza di cose, dovesse spaccare l’Italia. Pensi alle elezioni politiche del 2006, quella dei famosi 24.000 voti di scarto, era una mela spaccata a metà. Ma anche quelle del 2013, 120.000 voti di scarto, una mela spaccata a metà. Chi lo apprezzava era esattamente nello stesso numero di chi lo avversava, con diverse tonalità.

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Torna su