COSA PREVEDE IL DDL LOBBY
FINCO
COMIN& PARTNERS
“L’assenza di una regolamentazione unitaria a tutti i livelli istituzionali rappresenta per il nostro Paese una lacuna troppo profonda: tale vulnus normativo, inevitabilmente, delegittima non solo il ruolo dei portatori di interessi che agiscono secondo principi di eticità e trasparenza, ma anche quello dei referenti pubblici che non sfruttano a proprio favore lo status di “decisore” nei processi legislativi” ha sottolineato Gianluca Comin, presidente e founder di Comin & Partners.
“Si tratta, pertanto, di una situazione che necessita al più presto di un intervento che armonizzi e renda organico e trasversale l’attuale quadro regolatorio, in modo da garantire pari dignità e grado a tutti gli attori del processo decisionale e risolvere le numerose asimmetrie che interessano il funzionamento democratico”.
“Ritengo fondamentale e necessario, altresì, che vi sia un cambio di rotta anche nella comunicazione verso la collettività (cittadini, imprese e terzo settore) sul lavoro dei lobbisti, spesso additati dal mondo mediatico come causa e conseguenza di corruzione e malaffare”.
“Il mio intervento, dunque, intende contribuire a favorire il raggiungimento di due obiettivi: il primo è quello di far riconoscere il lavoro di coloro che, attraverso le proprie competenze ed esperienze, sono in grado di proporre soluzioni ed alternative al legislatore; il secondo obiettivo, strettamente correlato al primo, è quello di rendere il confronto tra decisori e soggetti interessati una prassi e una possibilità per aumentare il livello qualitativo delle politiche pubbliche”.
La figura del lobbista e le esclusioni
È importante, anzitutto, fornire una definizione chiara ed unitaria di cosa si intenda per “lobbista” e di quali debbano essere le competenze necessarie, il perimetro di azione entro il quale ci si muove e la rilevanza istituzionale e sociale del tipo di azione svolta.
Il lobbista è colui che, professionalmente e in maniera continuativa, rappresenta, ad ogni livello, gli interessi, le posizioni e le proposte di soggetti privati verso il decisore pubblico, al fine di favorire un vantaggio o evitare uno svantaggio (di natura economica e/o sociale).
Ad oggi, in Italia, non viene fornita una risposta unitaria e coerente su come tale attività venga portata avanti e a quali regole sia necessario attenersi al fine di garantire un operato nel pieno rispetto reciproco. Se sei un bravo lobbista o meno, infatti, è il mercato a deciderlo. E se questo, da un lato, ha portato ad una sorta di “selezione naturale” dei professionisti, dall’altro, ha offerto sempre di più il fianco all’attività di variegate categorie di soggetti che, pur definendosi tali, non possono essere considerati lobbisti in senso stretto, nei termini sopra indicati.
Ben venga, quindi, l’esclusione di soggetti iscritti ad albi professionali specifici, come i giornalisti o gli avvocati, i quali già rispondono a requisiti professionali riconoscibili, misurabili e socialmente accettati e che, in un’ottica di rappresentanza di interessi particolari, potrebbero utilizzare la propria professionalità come leva impropria di lobbying.
Un’altra limitazione su cui intendo porre l’accento riguarda il c.d. fenomeno delle “revolving doors”: bisogna vietare che un lobbista possa ricoprire una carica pubblica elettiva – o, comunque, svolgere il ruolo di “decisore” – e viceversa, almeno in un lasso di tempo congruo
che non sia inferiore a due anni, scongiurando così qualsiasi possibilità che si verifichi una situazione di conflitto di interessi. Tale obiettivo, in generale, può essere raggiunto attraverso una regolamentazione totalmente trasparente, che renda le attività di lobbisti e decisori chiare e “perimetrate”.
Il Registro e il Codice di condotta
Gli strumenti attraverso cui rendere pienamente effettivi gli obiettivi di partecipazione e reciprocità hanno un compito particolarmente decisivo in quanto consentono alla norma di tradursi in azione concreta. Un aspetto non secondario se si considera che, troppo spesso, nel nostro Paese, nonostante le migliori intenzioni, diverse leggi non sono state attuate a causa della scarsa o carente previsione di strumenti idonei al raggiungimento degli scopi a cui la norma era preordinata.
In via preliminare, occorre riflettere sul soggetto a cui si intendono affidare le funzioni relative alla gestione del Registro, poiché tale scelta riflette la ratio generale della norma e, dunque, la visione di fondo che sottostà alla legge che – auspicabilmente – verrà approvata.
A mio parere, affidare il Registro all’ANAC, come previsto in una delle proposte di legge presentate (A.C. 196 a firma On. Fregolent), evoca un’associazione immediata al binomio lobby-corruzione, esattamente quello che il lavoro che emergerà da questa Aula dovrebbe evitare, poiché tale accostamento avrebbe come conseguenza che la patologia venga scambiata per il fenomeno, con un grave pregiudizio per tutte le associazioni, i professionisti e gli operatori privati ma anche per le stesse Istituzioni.
Ritengo particolarmente condivisibile, quindi, la proposta di affidare a un soggetto terzo e indipendente da Governo e Parlamento, come un’Autorità amministrativa indipendente, le funzioni di cura e gestione del Registro e, nello specifico, la previsione che tale ruolo venga svolto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (come previsto dalla proposta A.C. 1827 a firma On. Silvestri). Infatti, l’AGCM assolvendo il delicato e cruciale compito di tutela della libertà di iniziativa economica si pone, nel nostro ordinamento, come garante degli equilibri interni al mercato (quindi tra imprese) e tra mercato e istituzioni.
Una seconda ipotesi potrebbe prevedere l’istituzione del Registro pubblico dei rappresentanti di interessi presso il Consiglio Nazionale dell’Economia e del lavoro (Cnel), organo di consulenza delle Camere e del Governo ai sensi dell’art. 99 della Costituzione, il quale potrebbe, quindi, assumere il ruolo di garante dell’esercizio delle attività di lobbying.
Dal punto di vista funzionale, al Registro dovranno iscriversi obbligatoriamente tutti i lobbisti professionisti, i quali saranno tenuti ad inserire – senza particolari “sforzi” burocratici – le informazioni necessarie per garantire la massima trasparenza dei processi (chi e cosa rappresentano).
Con l’istituzione del Registro, sarà anche necessaria una codificazione, semplice ma stringente ed efficace, delle best practices che i lobbisti devono adottare. Il Codice non solo garantirà, a livello nazionale, integrità e uniformità nei comportamenti di chi svolge attività di rappresentanza degli interessi, ma raccoglierà anche le regole deontologiche a cui i decisori pubblici dovranno attenersi nell’esercizio del proprio mandato.
Il Registro, in generale, non deve essere un mero strumento di raccolta in modo massivo di dati, non preordinati a scopi di reale informazione e partecipazione, poiché anche questo aspetto può generare opacità. Su questo punto, un modello da analizzare e a cui ispirarsi viene dagli Stati Uniti dove, da anni, vi è una consolidata tradizione di open data, anche sui dati relativi alle lobbies, che vengono utilizzati per alimentare piattaforme online e app che stanno contribuendo a trasformare il rapporto tra cittadini e Istituzioni.
L’accesso alle informazioni e alle sedi
Se da un lato, è giusto prevedere l’iscrizione obbligatoria ad un Registro pubblico per la trasparenza, così come ad associazioni di categoria rappresentative del settore, allo stesso modo è importante che vi sia il riconoscimento di premialità e incentivi collegati proprio all’adesione del lobbista ad una disciplina specifica.
L’accesso alle informazioni parlamentari e a specifiche aree delle sedi istituzionali dei decisori pubblici, salvo quelle riservate in base ai regolamenti interni, rappresentano alcune possibili premialità. Consultare informazioni inerenti alle policy, assistere alle procedure decisionali e acquisire documenti relativi alla fase istruttoria può consentire ai gruppi di interesse di poter intervenire tempestivamente e, quindi, contribuire all’assunzione di decisioni il più possibile partecipate e aperte.
L’altra premialità, legata all’accesso alle informazioni, può essere la partecipazione diretta alle attività di analisi dell’impatto della regolamentazione (AIR) e di verifica dell’impatto della regolamentazione (VIR), riguardanti gli atti normativi del Governo – compresi quelli dei Ministri – di provvedimenti interministeriali e i disegni di legge. Tale previsione è opportuna non solo per i disegni di legge di origine parlamentare o governativa ma anche per la decretazione d’urgenza: infatti, andrebbe contemplata la possibilità per i soggetti interessati di poter “accedere” alla fase dei 60 giorni di conversione di un decreto-legge, ossia il momento precedente a quello in cui la decisione viene definitivamente formalizzata e, dunque, tradotta in atto imperativo.
La reciprocità
Desidero evidenziare, poi, come alle regole applicabili all’attività di lobbying ne debbano corrispondere altre in capo ai decisori pubblici. Si tratta di regole minime ma di buon senso.
Il costo della partecipazione in termini organizzativi, tanto per le Istituzioni quanto per i privati, deve essere finalizzato a uno scopo che non resti fine a se stesso – di mera trasparenza per la trasparenza – ma che deve essere il perno su cui può fondarsi un vero modello di Open Government.
FB ASSOCIATI
“Siamo e siamo sempre stati fortemente a favore di una disciplina per la rappresentanza degli interessi. Lo diciamo da anni, ci sono state in passato altre audizioni e speriamo che questa sia la volta buona non solo per avviare, ma per concludere un percorso normativo di cui si sente l’esigenza” ha esordito Fabio Bistoncini, fondatore e ad di FB&Associati.
“Il nostro settore, proprio perché non riconosciuto esplicitamente ma solo de facto, si presta a tanti equivoci e a tante zone grigie con soggetti che non fanno il nostro lavoro ma dicono di farlo.
Questo è un detrimento non solo per il nostro mercato ma anche un detrimento per la trasparenza del processo decisionale.
Un intervento normativo che disciplini la rappresentanza di interessi presso il processo decisionale sia fortemente necessario ed opportuno.
Questo vuoto normativo diventa pericoloso dal momento che nel nostro ordinamento c’è un reato che è stato introdotto qualche anno fa è che il traffico illecito delle influenze. All’epoca, si parla del governo Monti, noi dicemmo subito al Guardiasigilli Severino che non ci opponevamo a un reato previsto dalle convenzioni internazionali (anche se tutti i paesi non l’hanno recepito) ma doveva essere disciplinata anche la rappresentenza degli interessi.
Altrimenti il rischio è che per perseguire un reato, in mancanza di una disciplina positiva, si va per interpretazioni”.
Vi lasciamo i 10 punti cardine della regolamentazione della rappresentanza degli interessi per FB & Associati:
- Garantire la trasparenza dei processi decisionali, attraverso la pubblicazione dei resoconti dei lavori degli organi decisionali a livello centrale e regionale.
- Definire puntualmente il concetto di “rappresentanza d’interessi”, ricomprendendo tutti gli interessi, sia diffusi che particolari. Debbono ricadere nell’ambito della rappresentanza di interessi particolari l’attività professionale svolta da: referenti aziendali, consulenti esterni, rappresentanti di associazioni di categoria, ONLUS, albi e ordini professionali, sindacati, ecc., ad esclusione dell’attività svolta da enti pubblici – nonché dai partiti politici – e di quella svolta da esponenti sindacali e imprenditoriali, nell’ambito dei soli processi decisionali che si concludano mediante protocolli d’intesa ed altri strumenti di concertazione.
- Applicare la normativa in materia di rappresentanza di interessi al più ampio contesto politico istituzionale possibile (non solo al Governo ma anche – mediante apposita normativa quadro e previo coinvolgimento delle Regioni in Conferenza S.R. – alle Assemblee legislative nazionali e regionali, nonché ai vertici delle autorità indipendenti nell’esercizio dell’attività di regolazione).
- Prevedere la registrazione dei professionisti delle relazioni istituzionali con requisiti chiari d’iscrizione, vincolata alla sottoscrizione di un codice deontologico unico a livello nazionale.
- Istituire un Registro unico oppure garantire l’interoperabilità dei registri dei rappresentanti di interessi, istituiti presso tutti gli organi decisionali sia a livello nazionale che regionale, mediante una base dati unica nazionale istituita in una normativa quadro.
- Delineare, per i soggetti registrati, un sistema di “reporting” che coniughi le esigenze di trasparenza con le prerogative di riservatezza, evitando altresì appesantimenti burocratici per gli operatori del settore.
- Contemplare, per i soggetti registrati, un sistema bilanciato di diritti di accesso ai luoghi della decisione pubblica ed alla documentazione, tutelato in modo inequivocabile, nonché il diritto ad essere ascoltati dall’organo decisionale, nell’ambito dell’istruttoria legislativa relativa a provvedimenti che incidono su interessi da loro rappresentati.
- Prevedere l’obbligo in capo al decisore pubblico di rendere esplicite nella relazione ai provvedimenti legislativi l’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) e la verifica dell’impatto regolatorio (VIR) quali supporti tecnici alle decisioni dell’organo politico e consistenti in una analisi ex ante ed ex post degli effetti di intervento normativo ricadenti sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull’organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, specificando altresì i soggetti ascoltati nell’ambito della redazione degli atti, anche al fine di evitare ogni possibile situazione di potenziale o attuale conflitto di interessi.
- Prevedere un sistema di sanzioni, per tutti i soggetti coinvolti nel processo decisionale, che permetta la reale efficacia delle disposizioni normative, garantendo altresì il pieno diritto al contraddittorio nell’ambito delle procedure di erogazione delle suddette sanzioni.
- Disciplinare il tassativo divieto di revolving doors, escludendo che soggetti che abbiano ricoperto cariche elettive o decisionali di vertice possano iscriversi ai registri dei rappresentanti di interessi nei due anni successivi al termine del mandato.